– di Martina Rossato –
I Gegenhalt sono una band nata a Bologna nel 2021 dall’incontro tra vecchi compagni di scuola e amici. Si definiscono “Talvolta malinconici, volutamente grezzi, sempre adrenalinici” e la loro musica, che si rifà alle influenze post-punk degli Interpol e dei Fine Before You Came, si rispecchia bene in questi tre aggettivi.
Hanno da poco pubblicato i loro primi singoli, “Volante” e “Non piangere”, seguiti dall’EP “Paratonia”.
Ne abbiamo parlato, a distanza, con Marco Foltran (batteria), Matteo Tomei (chitarra) e Antonio Del Gaudio (chitarra e voce). Il gruppo sta vivendo un momento particolare: come moltissimi coetanei, due dei membri del gruppo si trovano all’estero per motivi di studio. Questo non è per loro un ostacolo, anzi, un modo per cercare nuove ispirazioni e trovare nuovi mezzi per suonare insieme.
Marco, Matteo e Antonio hanno fatto da portavoce anche per Gioele Ragonese (chitarra), Davide Boschetti (basso) e Marco Pavesi (batteria).
Come state gestendo questo periodo di lontananza?
Marco (batteria) | Per ovvi motivi non riusciamo a provare insieme, ma questo non ci ferma: riusciamo a collaborare anche a distanza. Oltretutto, avendo tre chitarre se ne manca una i pezzi riusciamo a rilavorarli e suonarli. Per i concerti abbiamo trovato un altro batterista, Marco [Pavesi, nda], che mi sostituisce. Ci sono dei concerti a cui non voglio proprio mancare, quindi è capitato che tornassi in Italia un paio di volte! Per il resto, ci stiamo basando su una formazione un po’ rimaneggiata.
Marco sei in Olanda, Matteo in Germania: come vi sentite a essere lontani dal vostro gruppo?
Marco | Io e Matteo abbiamo dei modi diversi di gestire questa lontananza.
Matteo (chitarra) | Sì, confermo. Io sono rimasto un pochino più fuori come livello di partecipazione, anche se mi duole dirlo. Purtroppo non sono riuscito a tornare spesso a Bologna come Marco e soprattutto non sono tornato per i concerti. Sto continuando a scrivere musica e a condividere quello che scrivo con gli altri ragazzi. In questo senso riesco a collaborare anche da lontano, anche se è molto difficile.
Marco | La cosa più difficile è la scrittura dei nuovi pezzi, perché abbiamo molte bozze che sono da completare e proviamo a rimbalzarcele. I pezzi sono sempre stati finalizzati, quando eravamo tutti insieme in saletta. Ora stiamo provando a fare qualche bozza, ma troveremo la quadra solo quando saremo di nuovo tutti insieme.
Antonio (chitarra e voce) | Io sono pieno di audio di Tomo [Matteo, nda] salvati tra i messaggi importanti di WhatsApp. Appena riesco mi metto a registrare qualcosa sopra.
Marco | Io invece sono pieno di tracce audio difettose, che non funzionano, perché non sa usare WeTransfer [ride, nda].
Vi occupate dei pezzi dall’inizio alla fine, come vi coordinate?
Matteo | Anto, soprattutto ultimamente, si occupa della scrittura dei testi. I pezzi dell’EP sono stati scritti da un anno a questa parte, hanno una certa storia e stanno stagionando per bene. In particolare, abbiamo scritto “Anestesia”, “Volante” e “Non piangere” prima ancora della mia partenza. Direi che ogni pezzo nasce dalla collaborazione tra tutti. Quando ci troviamo tutti insieme per registrare rifiniamo, è un lavoro creativo di gruppo: ci mettiamo a jammare e così diamo una melodia ai testi.
Vi siete definiti “malinconici, volutamente grezzi, adrenalinici”. Il titolo dell’EP, che poi è strettamente legato al nome del vostro gruppo, rimanda a un’idea di opposizione e resistenza.
Matteo | Sì, esatto. Gegenhalt è in realtà il secondo nome della band, il primo – non so se si può dire [ride, nda] – era “Boiling Frogs”, le rane che bollono. Non era un’immagine molto rock, se ci pensi. È anche un bel concetto, politico anche quello, però se pensi a una rana bollita non ti viene troppa voglia di andare al concerto.
Dopo un po’ di brainstorming abbiamo pensato a “Gegenhalt”, un nome preso in prestito dalla neurologia, che è un sintomo di alterazione del movimento. La persona malata si oppone all’esaminatore, quasi inconsapevolmente ma attivamente. Ci sembra un concetto un po’ idealista di resistenza, andare contro, anche un po’ punk. Poi è in tedesco, nessuno sa cosa voglia dire quindi fa figo [ride, nda].
Antonio | Be’ la gag è quella di trovare ogni volta un significato diverso, una volta vuol dire “inventore della macchina da scrivere”.
Matteo | Un’altra volta diventa“il nome di un antico villaggio di pescatori” [ride, ndr].
Questa idea di opposizione, resistenza e lotta in effetti c’è. Ma d’altronde ragazzi siete di Bologna. Quanto vi influenza la vostra città? Sareste nati come gruppo anche in una città diversa?
Antonio | Probabilmente se non avessimo fatto il liceo insieme e poi se Marco non avesse iniziato a romperci il cazzo con i Fine Before You Came e tutto il resto, no, non saremmo mai nati. C’è un bel concatenamento di cause.
Matteo | Ci conosciamo da tantissimo, soprattutto con Anto, Bosco e Gio, con cui andavo a scuola e non so perché non ci fosse subito venuto in mente di mettere su un gruppo. Solo un paio di anni fa, quando siamo andati a un live, abbiamo cominciato a pensare di suonare insieme. All’inizio era un po’ per scherzo, poi abbiamo provato e quando si è aggiunto Marco la cosa è diventata un po’ più seria.
Riguardo al rapporto con la città, secondo me ci ha condizionati molto. Anche il fatto di muoverci in un ambiente così poliedrico, come quello di Bologna, ci ha influenzati.
È effettivamente, come sembra, un ambiente molto favorevole per le realtà come la vostra? Com’è organizzare eventi o concerti?
Marco | Già il fatto che abbiamo iniziato a suonare in un laboratorio musicale che fa parte di un’associazione culturale, che era un po’ in disgrazia quando siamo entrati noi, e che adesso siamo riusciti a rimettere in sesto e far ripartire, penso sia significativo.
Non credo esistano dappertutto queste realtà: un’associazione culturale che mette a disposizione una sala prove a un prezzo così basso è difficile da trovare. Era un po’ fatiscente, è vero, avevano problemi con la cessione degli spazi dal Comune quindi quando abbiamo iniziato a suonare noi eravamo negli spogliatoi di una piscina di Bologna. Ma dopo numerose lotte burocratiche da parte di Eugenio, il fonico dell’associazione, abbiamo trovato uno spazio più consono, con delle sale prove insonorizzate.
Antonio | Queste parole mi ricordano il presschit, sei partito col pilota automatico a una certa!
Marco | Eh sì, ma la storia è quella. Queste realtà associative e culturali sono più facili da trovare qui che da altre parti.
Matteo | È un ambiente fertile, senza dubbio.
Parlavate di questo laboratorio, di cosa si tratta?
Marco | Il laboratorio è uno spazio di sala prove e studio di registrazione. Offre prezzi vantaggiosi per gli associati e ci ha permesso di suonare molto spesso senza pagare cifre esorbitanti, con molta libertà negli orari, soprattutto all’inizio. Non c’era nessuno in quella associazione, nessuno voleva suonare nelle piscine. Ci siamo influenzati a vicenda, suonando insieme così tanto, con i nostri ascolti, le influenze di ognuno.
Parlerei di “Non piangere”, che fa piangere tantissimo. Come avete scelto quando farla uscire? Cosa c’è dietro quella canzone?
Antonio | Quello che sta più attento alle uscite forse sono io. Sono il più puntiglioso, ho avuto un’esperienza da solo di uscite e a volte mi sento più gasato per una canzone o per l’altra per come so che potrebbe andare a livello di numeri. Anche se poi i numeri non significano nulla, ci si gasa se un pezzo va bene, è bello vedere che c’è un riscontro.
L’idea all’inizio era di far uscire per prima “Mica tanto biondi”, che è un brano dell’EP, però poi ho rotto un po’ perché mi sembra un brano molto intro; è nato come brano che introduce i concerti, infatti ha anche una intro molto lunga. Le canzoni che hanno più veste di singolo mi sembravano “Volante” e “Non piangere”. La prima tira molto e va dritta al punto, con BPM alto: pensavo potesse essere un ottimo ariete per le nostre uscite.
Considerato poi quanto accaduto con le mie uscite passate da solo, mi son reso conto che la seconda canzone è quella cruciale. È facile che vada male, è facile sbagliare. Alla prima i tuoi amici ti ascoltano e anche chi non ti conosce magari è curioso. La seconda no. La seconda deve essere una riconferma, e deve essere un pezzo con uno statement forte. “Non piangere” era perfetta a mio parere. Sì, sarebbe potuta essere un’altra canzone, ma volevamo tenere qualcosa per l’EP: facciamo due uscite di singoli su cinque pezzi dell’EP.
E com’è stato il riscontro effettivamente?
Antonio | Alla fine siamo riusciti a finire in playlist, che è una cosa molto buona. Non credo che avremo tutti questi numeri senza le playlist, da una parte ci si gasa, è bello vedere che c’è tanta gente che ci ascolta, dall’altro lato chissene frega. Bisogna sempre pensare così secondo me. Non so cosa pensiate voi, per me l’importante è suonare e quindi i numeri mi gasano, ma non suono per i numeri.
Matteo | Anche io mi gaso quando vedo i numeri, però penso che la sfida sia tenerci più ascoltatori possibili. Bisogna farli innamorare di noi per tenerci queste persone, che sono tante. Bisogna ancora grindare un po’ ma è senza dubbio un buon inizio.
A proposito di innamorarsi e far innamorare la gente, vi faccio una domanda da fidanzatini. Qual è il momento più bello che avete vissuto insieme?
Marco | Quando Tomo se ne è andato, finalmente! Di momenti belli ce ne sono stati molti, ripenso al nostro primo concerto, in un centro sociale che era un ex centro anziani ma il pubblico era rimasto lo stesso. Lì è stato un live un po’ sgangherato [ride, nda].
Abbiamo avuto modo di suonare in posti diversi, in contesti più adatti, ma quell’incoscienza di andare a suonare in un centro anziani senza nessuna ambizione, quello è stato divertente.
Matteo | Sì, confermo, i primi concerti e l’uscita dei singoli e dell’EP. Sono molto orgoglioso, anche da lontano.
Vi capita mai di avere degli screzi? Momenti in cui non ne potete più [ride, nda]?
Antonio | Molto spesso e l’ultimo risale, tipo, a ieri. Ma secondo me è la costanza che ci aiuta.
Marco | La costanza degli screzi, sì [ride, nda]. Poi ci sono animi infiammabili all’interno del gruppo, siamo tutti molto diversi.
Antonio | Mi ricordo ancora una faida culinaria mai superata, tra Matteo e Marco. Ci sono ancora bollori.
Marco | O anche per decidere come tagliare la copertina del disco: ci abbiamo messo tre ore. Poi a distanza, quindi abbiamo passato un sacco di tempo a discutere sul gruppo WhatsApp. Alla fine abbiamo trovato un compromesso che mettesse d’accordo tutti, dopo molta fatica. Compromesso vanificato perché quando è stata mandata la copertina a chi doveva caricarla su Spotify, è stata mandata la versione non tagliata. Ha praticamente deciso la persona che ha caricato per noi [ride, ndr].
E la foto l’avete fatta voi?
Marco | Sì, l’ho fatta io a Bosco sui colli bolognesi, l’estate scorsa. Ci siamo fermati ad ascoltare musica sulla macchina di Anto, che poi ha scaricato la batteria e ce ne siamo accorti solo una volta tornati dal concerto. Anche quello è un bel ricordo, un po’ meno per Anto.
Antonio | Sì, ho un bel ricordo soprattutto di quando ho dovuto pagare il carroattrezzi [ride, ndr].
Che concerto era? Ne è valsa la pena?
Matteo | Erano i Fine Before You Came, ovviamente.
Antonio | Era la prima volta che li andavamo a sentire insieme, sono un po’ una fonte di ispirazione quindi era giusto andare a vederli insieme!