– di Assunta Urbano –
Il 17 gennaio 2020 era un venerdì. I Gazebo Penguins si esibivano al Monk, a Roma, e mi persi quel concerto. Che nessuno si aspettava cosa sarebbe successo dopo ce lo siamo detti tante volte ed è inutile ripeterlo.
È emozionante, invece, raccontare che ieri, 14 ottobre 2021, siamo tornati. Stessa location, stessa band, con un’atmosfera del tutto diversa, ma finalmente.
Quattro dischi alle spalle e il decennale del secondo questi, “Legna”. Pietro Cottafavi (Piter, alla batteria), Gabriele Malavasi (Capra, chitarra e voce) e Andrea Sologni (Sollo, basso elettrico) hanno conquistato, ancora una volta, il pubblico.
A distanza di un anno e mezzo, la band hardcore di Correggio ha portato nella Capitale la speranza di una ripresa del nostro settore, fin troppo dimenticato dalle istituzioni. L’occasione è un format innovativo, dal nome MOCK UP.
MOCK UP
Siamo in uno dei mesi preferiti dai romani; l’Ottobrata capitolina e il suo rito allegro ci travolge. Da questo, probabilmente, nasce il progetto MOCK UP.
Il Monk, punto di riferimento per la scena live della città, e l’associazione Made in Roma Est uniscono le loro forze e danno vita ad un calendario eccezionale. Una rassegna di eventi che occuperà l’intera mesata, con lo scopo di rimettere in moto l’intera filiera.
A prendere parte alla programmazione sono quindici partner, tra locali, festival, etichette, tra i maggiori colpiti dalla pandemia. Non mancano a dare il loro contributo Scena Unita e La Musica che Gira.
Il concerto dei Gazebo Penguins è stato organizzato in collaborazione con il Trenta Formiche, locale che ospita esponenti del panorama underground mondiale.
Una particolarità della serata di ieri 14 ottobre è stata la presenza di un doppio live. I fan hanno avuto la possibilità di assistere all’esibizione alle 20.30 oppure alle 22.30. Questo ha permesso ad un maggior numero di interessati di non perdersi l’appuntamento.
GAZEBO PENGUINS LIVE
L’ingresso è stato di grande impatto e non solo a causa delle sedie.
Le luci si spengono. Ci ritroviamo catapultati in una realtà parallela che sembrava ormai persa, impossibile da recuperare. «Anche se sembra tutto nero», c’è una fiamma che ancora ha voglia di bruciare.
I Gazebo Penguins si presentano sul palco e suonano per quasi tutta la durata del live da seduti, per “confortare” i loro spettatori. Una scelta insolita, ma comprensibile, dato che si tratta di uno di quei concerti in cui si salta, si urla e si stabilisce una connessione con il vicino. Nonostante la distanza, come da prassi, proprio quella connessione si conserva intatta.
La band, per questo tour, ha riarrangiato i pezzi. Il tutto appare meno urlato, c’è meno rabbia. I toni prendono la forma di abbracci malinconici. Non c’è più solo speranza di tornare a pogare e a cercare di reggerci in piedi tra la calca.
C’è la certezza che per rialzarsi da quelle sedie bisogna farlo da soli. Anche se nulla tornerà come prima, andiamo a prenderci il nostro posto, quello che ci meritiamo, quello di cui abbiamo bisogno. Adesso.
Nel corso della serata, i Gazebo Penguins ricordano i brani più memorabili della loro carriera, da “Finito il caffè” fino a “Soffrire non è utile”. Il live si conclude con “Senza di te”, in cui il gruppo ha invitato il pubblico a salire sulle proprie sedie e a ritornare, per pochi minuti, a quella che era la vecchia vita di tanti di noi. Senza bisogno di dover ricordare di mantenere le distanze.
«SIAMO TORNATI, CAZZO»
Probabilmente non rientravo in quella sala del Monk dal Capodanno 2019-2020. È stato un colpo al cuore. Già a partire dalle prime note, i bassi sono arrivati dritti alla pancia prima che alle orecchie e al cuore. Un colpo precisissimo.
Questo stop ci ha ricordato che non sentivamo la mancanza di band sul palco, quanto di gruppi in grado di reggerlo e comunicare un messaggio a chi si trova ad assistere.
Tornare al Monk, dopo quasi due anni, ad un concerto dei Gazebo Penguins. Potrebbe sembrare un racconto anacronistico. Non è per nulla così. Questa realtà non è davvero finita e, come le piante, ha solo bisogno di tanta acqua e cura per non appassire e scomparire.
È stato incredibile e lo è ancora di più pensare che questo possa essere solo l’inizio.
«Tornare non è sempre facile, ma ci siamo riusciti, cazzo!»
«Contavo i giorni» senza di te. Contavo i giorni in cui mancavo da un posto che per anni ha riempito il mio cuore di ricordi. E meno male che sono finiti – spero – perché in matematica faccio proprio schifo.