– di Giacomo Daneluzzo –
En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme
Vicino a Toledo, bellissima città nella regione spagnola della Mancha, c’è una località chiamata Consuegra, in cui è situato un castello, il castillo de la Muela. Oltre a essere una bella idea per una gita turistica, questo è il luogo in cui si trovano i celeberrimi mulini a vento di Consuegra. Tali mulini, di per sé, non sono nulla di straordinario: sono dei mulini, dodici, per l’esattezza, funzionanti, forse, dal XVI secolo (ci sono teorie discordanti su quando sono stati costruiti).
Che cosa c’entra tutto ciò con Fratelli d’Italia e il Festival di Sanremo? Ci arriviamo presto.
A renderli celebri è il romanzo del 1605 El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha, il capolavoro del Siglo de Oro firmato da Miguel de Cervantes Saavedra, cardine della letteratura spagnola e mondiale, in cui il protagonista Don Quijote, in italiano Don Chisciotte, a un certo punto ingaggia battaglia con dei mulini a vento, convinto che siano dei pericolosi e crudeli giganti. Una storia arcinota, classico paradigma di come sia possibile, quando non si è lucidi, scagliarsi contro nemici che esistono solo nella propria testa.
Don Chisciotte ha passato la vita a leggere romanzi cavallereschi, storie epiche di cavalieri dall’animo nobile, sempre pronti a combattere il male, anche a costo della propria vita. È talmente immerso in tali letture da convincersi di vivere in una Spagna magica e cavalleresca, in cui è chiamato a essere un cavaliere errante. Ma la Spagna di Don Chisciotte non è quella che ha in mente, non è la Spagna dei cavalieri e delle avventure di cui ha letto nei romanzi; i tempi sono cambiati, il mondo è cambiato – anzi, lui neanche l’ha mai visto, quel mondo di cui ha letto – e lui, inguaribile sognatore, è incapace di rendersene conto. Dulcinea del Toboso non è una nobile che un giorno sposerà e renderà principessa, ma una contadinella rozza e ignorante, che non l’ha praticamente mai visto; non ci sono giganti da combattere, ma solo degli innocui mulini a vento.
Esattamente come don Chisciotte, la deputata (anzi, IL deputato, come ama scrivere nella propria bio di Instagram) di Fratelli d’Italia Maddalena Morgante vive in un mondo tutto suo, che esiste solo nella sua testa. Ma lei non lo sa, pensa che la realtà sia questa. Possiamo dire, in modo forse più generoso di come farebbero altri, che è anche lei un’inguaribile sognatrice (o magari preferisce essere “un inguaribile sognatore” al maschile?).
Morgante vive in questo mondo in cui ci sono delle regole, come delle istruzioni per vivere bene, che sono conosciute, rivelate, da molto tempo. Questo “manuale di istruzioni” della vita (immagino) è costituito anche dagli insegnamenti della religione cristiana (o da quelli di un certo modo di intenderla), ma più in generale da un complesso mosaico di credenze e tradizioni, che ci sono sempre state e che vanno difese e conservate, perché sono la chiave per far funzionare le cose nel modo in cui dovrebbero funzionare. Una sorta di mos maiorum, costituito da “sani princìpi” universalmente noti che, se venissero applicati, farebbero funzionare tutto alla perfezione. Non ci sarebbero più problemi, o quasi. Purtroppo, però, c’è chi, per ignoranza, se non proprio per malvagità, non vuole proprio saperne di seguire questi princìpi, ma di questo parleremo tra un po’.
Morgante probabilmente ha passato la vita a leggere di questo mondo magico, sempre che non faccia anche lei come la sua collega Lucia Borgonzini, senatrice della Lega e sottosegretaria di Stato al Ministero della Cultura, che nel 2018 aveva dichiarato di non leggere un libro da tre anni. Ne ha letto talmente tanto da convincersi profondamente che effettivamente la realtà funziona in questo modo, che il bene e il male non solo esistono in modo oggettivo e universale, ma sono quelli che ha in mente lei e che tra i problemi del mondo, in mezzo a guerre, fame, carestia, ci sia la crescente popolarità del gender.
Ma che cos’è il gender?
Proverò a definire il gender per com’è inteso da chi, parlando dei problemi della società, lo citerebbe.
Il gender è l’insieme di idee e ideologie, sempre più diffuse anche tra persone che non sono queer/LGBTQ+, che “uomo” e “donna” siano etichette che si possono mettere e togliere alle persone a proprio piacimento e che non debbano comportare un preciso ruolo all’interno della società, che l’omosessualità sia un orientamento sessuale normale e naturale, che per questo sia giusto che le coppie omosessuali – se vogliono – si sposino e abbiano figli, che la famiglia tradizionale non debba essere quindi composta da una mamma e da un papà, ma anche che l’amore possa essere riferito a più persone contemporaneamente (quindi che si possano avere più relazioni contemporaneamente), che la pornografia non sia da demonizzare e così neanche la prostituzione e tutti i lavori che comprendono l’attività sessuale, che il sesso (che può essere finalizzato anche soltanto al piacere sessuale, chi se ne frega della procreazione) e l’amore vadano vissuti il più possibile liberamente e in qualunque modo si voglia, purché ci sia pieno consenso da tutte le parti coinvolte.
Ci possono essere vari gradi e livelli di quest’ideologia del gender, ma in ogni caso, per una certa frangia politica, non è in discussione che sia qualcosa di estremamente deleterio per la società e che allontani le persone da una vita piena, felice, sana. Ciononostante ci sono molte persone che sostengono fermamente tutte queste posizioni, infischiandosene della religione, della morale, della cultura tradizionale. E questi gruppi si sono introdotti nei parlamenti, sono riusciti a modificare le leggi di molti Paesi, cercano costantemente di trovare proseliti, in tutti i modi, sfruttando il più possibile i media, dai social alle televisioni. Il mondo dello spettacolo ormai sembra essere quasi completamente in mano a persone e gruppi che hanno questa concezione del mondo, intrisa di gender. E sono arrivati anche al Festival di Sanremo, che è guardato un po’ da tutti, bambini compresi. Per dirla con le parole di Morgante: «Desta sconcerto».
Chi è Rosa Chemical?
Morgante ieri se l’è presa con Rosa Chemical, o meglio, con la presenza di Rosa Chemical al Festival di Sanremo, che inizierà tra pochissimo, in virtù, appunto, della difesa dei valori tradizionali. Rosa Chemical è tra i partecipanti e vorrebbe essere un simbolo di tutto ciò di cui abbiamo appena parlato. Classe 1998, inizialmente pubblica un po’ di canzoni ed EP online con gli pseudonimi Ekios e Kranyo (in rete c’è ancora qualcosa), poi prende il prestito il nome di sua madre Rosa e un pezzetto di quello del gruppo emo My Chemical Romance: diventa Rosa Chemical e nel giro di poco si fa conoscere come trapper “diverso” – ma forse neanche così tanto – dagli altri. Dopo l’EP “OKAY OKAY” (2019) esce l’album “FOREVER” (2020), da lì in poi la sua strada verso una carriera di successo è abbastanza spianata.
Tra le caratteristiche salienti che possiamo individuare nella scrittura di Rosa Chemical (che proverò, in seguito, a esemplificare) abbiamo un’insistenza sul sesso, visto sempre e soltanto con un approccio pornografico (attenzione, non per forza progressista, come vedremo, anzi, ma sempre pornografico), una piena aderenza agli stilemi e ai cliché tipici del rap/hip hop, in particolare quelli relativi alla “vita di strada” e quelli relativi a una concezione problematica delle donne e dei ruoli di genere, un forte e straniante nazionalismo, il più delle volte mascherato in modo tale da sembrare ironico, ma alla fine di questo si tratta (non è un caso che il brano con cui è in gara al Festival dei Fiori s’intitoli proprio “Made in Italy”), il tutto “scusato” in qualche modo da quello che forse è l’aspetto più preminente dell’intero progetto: una vena nonsense-trash molto spiccata, cioè un tono “non serio” nei testi delle canzoni, una sorta di ironia costante o quasi che gli permette di dire le cose peggiori senza che passino per quello che effettivamente sono, almeno per la maggior parte degli ascoltatori. Un’ultima caratteristica, che sembra essere l’unica colta da Morgante, è quella di giocare molto sui “temi gender”: oltre a chiamarsi “Rosa” spesso si veste con abiti femminili e si trucca, ammicca molto al mondo queer e, in soldoni, si considera progressista quando parla di pornografia e di sessualità libera (e non “fluida”, come dice Morgante), concetti che sembrano mescolarsi tra loro, in linea con una certa retorica, ma che forse non sono così sovrapponibili. Degli esempi di quanto detto, tratti dalle sue canzoni:
- «Rosa è il sesso come un ditalino / Questa si fa il tipo mentre pensa a me / Tutto duro come un palo / Chiede a cosa penso mentre chiavo / Penso a Pupo con due fiche in mano / Sono così fiero di essere italiano»;
- «Dice che vuole il ragazzo sporco / La sbatto col cazzo che sa di tonno»;
- «Fanculo Marco Mengoni» (interessante che anche Mengoni, più volte “accusato” di essere segretamente omosessuale, sia in gara quest’anno, tra l’altro);
- «Non mi vedi? Sono io, sono quello che fa gli harem»;
- «Tre bitch sul dick, come bolle»;
- «Sono meglio di Eminem, sono italiano»;
- «Troppi cocaleros come in Messico, ne sto prendendo troppa come un’escort»;
- «Ho tre pistole, c’ho paura»;
- «La tua troia ha rotto il cazzo»;
- «Buongiornissimo, son quello col cazzo lunghissimo»;
- «Mi vuole scopare, ho l’età di suo figlio»;
- «Pensavo che mi basta fare una storia / E ti riempio il locale di puzza di troia»;
- «Sembra faccio equitazione, son tutte cavalle, mandami una foto, B le seleziona»;
- «Erano in tre sotto al palco e ora…»;
- «Popstar come Britney / La squadra sta al molly come voi state agli snitch / Polli fritti / Tu-tu-tu-tu sul cazzo / Ho infami, bitch e boxer / Pensa sia un telecomando / Lo tiene sempre in mano»;
- «Matcho un palo di scarpe con un metro di cazzo / Lei sta tutta bagnata, lei è un asciugamano / C’ha sto culo che parla, dice cose».
Queste citazioni sono tratte da alcune delle sue canzoni più famose, “polka 2 :-/” (brano che vede la partecipazione di Ernia e Guè, non esattamente due paladini del progressismo), “BABY”, “POLKA”, “#Thotmilanodm”, “britney ;–)“. Ma potremmo selezionarne molte altre, assolutamente dello stesso tenore, perché Rosa Chemical, diciamocelo, dice più o meno sempre le stesse cose. E ho tralasciato le cose che dicono gli artisti con cui ha lavorato in queste e altre canzoni, che no, non sono meglio.
Il sito di testi di canzoni (specialmente rap) Genius ci spiega che «Rosa e il suo gruppo di amici hanno iniziato ad usare la parola “italiano”, come un superlativo all’interno di varie frasi» e che da questo «Rosa Chemical ha coniato uno dei suoi soprannomi con cui è noto, “il sesso italiano”». Da questo meme è partito un dissing, ironico ovviamente, tra il rapper ed Eminem (non c’è neanche bisogno di dire che è stata una cosa a senso unico).
Nonostante sia “tutto ironico”, è comunque un fatto singolare che un rapper insista così tanto sull’italianità, vista sempre in accezione estremamente positiva, e mi è impossibile pensare che neanche la partecipazione a Sanremo con un brano intitolato “Made in Italy” sia indice di una certa tendenza nazionalista, che forse a Morgante e ai suoi colleghi renderebbe più simpatico Rosa Chemical.
Perché non capite mai niente?
E qui mi rivolgo innanzitutto a Maddalena Morgante, che praticamente non sa neanche chi sia Rosa Chemical, ma anche e soprattutto ai suoi ascoltatori e, in generale, a chi ascolta rap e si professa progressista. Com’è possibile che siate così stupidi? Come fate a non rendervi proprio conto che Morgante e Rosa Chemical hanno molte più cose in comune di quanto pensino? Ma in generale, come fate a non rendervi conto che i rapper sono quanto di meno progressista esista?
Rosa Chemical non è, né mai potrà essere, un paladino del mondo queer. Non è progressista, è più come il ragazzino stupido che alle medie per fare il simpatico fa finta di essere gay imitando un tono di voce effemminato, una certa cadenza e persino un modo di vestirsi, niente di più. Ed è esattamente come se questo ragazzino, ora cresciuto, venisse preso e messo a fare l’emblema del progressismo e dell’apertura mentale, ma in realtà non lo è, anzi. E di sicuro non può essere un paladino dei diritti. Rosa Chemical è prima di tutto Manuel Franco Rocati, che nella vita reale, quando non è sotto i riflettori, è un giovane uomo italiano bianco, eterosessuale, cisgender, abile fisicamente e mentalmente, economicamente benestante e che occupa una posizione molto privilegiata anche dal punto di vista professionale.
Rosa Chemical non è progressista, non importa che cosa dice. È il contrario del progressismo, che si maschera da progressismo per vendere di più – magari credendoci anche, certo, ma il motivo, in fondo, è quello. Quando nelle canzoni parla delle troie con cui scopa, del suo grosso cazzo et cetera non sta facendo altro che perpetrare una serie di modi di vedere la sessualità, le donne, i ruoli di genere che sono estremamente radicati nella nostra cultura, nella nostra società. Sono vecchi come il cucco e sono ciò che, in modo sistematico, viene difeso dal conservatorismo sociale di cui Fratelli d’Italia è esponente. Il contrario, appunto, del progressismo. Non basta dire cose come: «Mando un bacino allo specchio, che puttana» (da “non è normale”) per non perpetrare una mentalità misogina, in cui le donne vanesie (per esempio) sono “puttane”. Mi dispiace, ma è come se quel ragazzino di cui parlavamo, dopo aver dato del frocio a un suo compagno di classe, davanti all’insegnante si scusasse e dicesse che non era un insulto, anzi, che anche lui stesso è pronto a dire di essere omosessuale. Mi fa lo stesso effetto.
Rosa Chemical è il mulino a vento di Maddalena Morgante: non è il gender, anzi, il gender neanche esiste e il suo “sconcerto” è semplicemente fuori luogo. Morgante e Fratelli d’Italia combattono contro nemici inesistenti e lo fanno con armi e retorica appartenenti a un passato che non conoscono neanche così bene. Ma il tutto è ancora più fuori luogo se, facendo un’analisi un po’ più approfondita, ci rendiamo conto che non solo Rosa Chemical è il suo mulino a vento, ma addirittura è un’altra faccia di Maddalena Morgante. Non è un suo nemico, è un’altra versione della stessa cosa. Potrebbero allearsi contro un nemico comune (per esempio, non a caso Rosa Chemical si è più volte scagliato contro il “politicamente corretto”, un altro cavallo di battaglia della retorica di Fratelli d’Italia, ma anche dei suoi alleati politici).
La verità è che Morgante e la trap sono due facce della stessa medaglia, che rappresenta una società retrograda, ignorante e intrisa di sessismo, e finché non saremo pronti ad ammetterlo non ci sarà spazio per nessun cambiamento reale, non in un senso progressista. E se Morgante è preoccupata per i cambiamenti della società può stare tranquilla: non sarà il Festival di Sanremo con Rosa Chemical a fare qualcosa in questa direzione, anzi, forse porterà un po’ di nazionalismo sul palco dell’Ariston.
Ma come si fa a scrivere un articolo del genere? Dire che il rap è il contrario del progressismo e chi lo ascolta non capisce di non potersi definire progressista. Snocciolare qualche consunta citazione per mostrarsi un pelo credibili e attuare impunemente un processo a un artista e a un intero genere musicale dall’alto della propria saccenza.
Smetti di scrivere ti prego, sei la muffa del giornalismo musicale italiano