– di Martina Rossato –
Franek è uno spiritello che ama impossessarsi in maniera simpatica e creativa di Francesco, ma solo quando sale su un palco o si trova davanti a un microfono. Una specie di alter ego, potremmo dire, a cui piace molto il pop ma anche sperimentare. È così che, a quattro anni dall’album di debutto, “Da qui esce un suono bellissimo”, Franek Windy pubblica oggi per peermusic Italy “POUR PARLER”.
Rispetto al primo disco, Francesco non ha più paura di Franek: i due sono cresciuti insieme e hanno imparato a convivere.
Oggi esce il tuo nuovo album, come ti senti?
Sono molto contento del disco, mi ha fatto stare molto bene crearlo, mi ha dato tanto e sono felice che non rimanga solo mio. È stato talmente bello farlo che l’uscita passa quasi in secondo piano. Non per svalutarlo, ma è stato un processo molto personale e divertente. Sono felice, per questo in parte ero già soddisfatto prima che uscisse.
Era la prima volta che ti succedeva di vivere così bene il processo creativo?
Sì, se penso che è un lavoro molto mio e lo confronto a lavori con altri gruppi. Un approccio così spensierato alla musica è molto bello. Sono soddisfatto anche del fatto che sia passato poco tempo da quando l’ho composto ad oggi. A livello di scrittura ho cominciato a scrivere improvvisando sulle basi, quasi freestyle: molte canzoni sono nate un po’ d’impulso. È stata una modalità nuova anche per me.
Quindi è un disco nato di getto?
Sì, a parte “La città della moda” che è un pezzo che mi tiro dietro da tanti anni, gli altri sono nati di getto quest’estate, che è un tempo relativamente breve. È un album molto fresco e sono molto contento dell’energia positiva che mi ha dato il farlo.
Come hai scelto i singoli da lanciare prima del disco?
Nel disco, ogni pezzo ha il suo mood. L’unica cosa che lega i pezzi è la voce, quindi l’idea era di creare un legante con la mia voce. Nel complesso poi c’è il pezzo più divertente, quello più triste… è molto variegato. Con i singoli volevo non far capire troppo alle persone che cosa sarebbe stato il disco. Volevo dare un po’ di assaggi del disco, ma molto diversi tra loro.
Sì, è proprio vero che ogni brano del disco è un mondo a sé. Dal tuo punto di vista qual è il filo conduttore?
Come ti dicevo, per prima cosa la voce. Mi sono ispirato a vari artisti pop contemporanei e del passato. Del pop mi piace molto il fatto che ogni artista è super riconoscibile: se sento una canzone di Post Malone mi rendo subito conto che è lui, idem Dua Lipa, Billie Eilish e così via. L’idea era di creare un timbro di voce che ti permette di dire subito “È Franek Windy”, e questa è una cosa che puoi fare anche attraversando generi diversi.
Come è nata la collaborazione con Arssalendo?
Andai a suonare a Roma il primo disco di Franek. In quell’occasione avevo suonato per un collettivo di artisti molto attivo e interessante, dislocato tra Roma e Bologna. Lì ho conosciuto Arssalendo, cioè Alessandro Catalano, che aveva fatto uscire un EP e non cantava ancora. Ci siamo sentiti, con gli anni siamo diventati amici e a gennaio scorso sono andato a Roma con l’idea di fare insieme un mio pezzo, poi mai uscito. Il giorno dopo però abbiamo provato a jammare ed è nata “Houdini”, praticamente l’abbiamo chiusa in un giorno. Fra tutti i nuovi che fanno questa musica un po’ strana, sperimentale, lui è il mio preferito. Mi ha fatto conoscere un po’ di gruppi, mi fa conoscere tanta musica. È bello lavorare con lui.
Parli di questa musica strana, sperimentale, ma non sei da meno.
Sì, però io sono fuori moda, secondo me [ride, ndr]. Ma in senso buono: anche io sperimento, ma a livello di produzione e suoni non mi interessa troppo il sound design. Sono più terra terra, ecco.
Quindi stai tornando alla forma canzone più tradizionale?
Sì, volevo provare a fare un po’ di canzoni. È molto difficile, in un certo senso, ma un pallino che ho è proprio che vorrei provare a scrivere strofe e ritornelli in senso classico.
Suoni qualche strumento?
In realtà ho cercato di suonare sempre meno: suono la chitarra ma in questo disco non ho suonato praticamente niente. Mi piace cantare, scrivere e lavorare col produttore. Alcune cose del disco sarebbero state diverse se non avessi lavorato con Luca Jacoboni, uno dei produttori, o con Ale. È stato tutto molto libero e aperto. Poi suono il basso con il mio gruppo ma, per risponderti, ti dico che suono poco e male.
Grandissima autostima [ride, ndr]!
No, no. Sono onesto [ride, ndr], ho sempre suonato e vivo i live in maniera molto performativa – che forse è la cosa che mi viene meglio a livello musicale – ma quando si parla di suonare non sono un grande musicista. Ad essere sincero, non è proprio l’aspetto che mi interessa di più del fare musica.
Ci sta! E invece perché l’album si chiama “Pour Parler”?
Il titolo in origine era un altro, ma credo fosse fraintendibile. È diventato “Pour Parler” perché è nato molto d’istinto e perché molte cose che contiene sono tanto vere per me. Non sono un grande fan della musica che deve comunicare per forza un messaggio o implicare altro; mi piace anche che sia un intrattenimento, qualcosa che mi fa piangere, ridere, provare emozioni. Era per dare quel valore, più di pancia che di testa.
Nell’ultimo brano parli di Milano, qual è il tuo rapporto con questa città?
In realtà non ci vado da un po’, ma mi piace. È una città molto europea, viva per davvero. Non ci sono solo l’aperitivo e la bamba [ride, ndr]. A livello di musica mi sono sentito accolto molto bene, quando capita ci vado sempre volentieri.
Hai in programma qualche concerto, a Milano o altrove?
Sì, faccio qualche concertino piano, voce e talk. Canto, racconto il disco, Luca suona il piano. Insomma, mi piace incontrare la gente così. Lo farò a Firenze, Padova, Bologna e mi piacerebbe anche a Milano effettivamente.
Invece tu di dove sei?
Io sono di Modena, ma vivo a Bologna ormai da dieci anni. Mi ci trovo bene, ultimamente ancora meglio però. Vedo più apertura rispetto a concertini ed eventi. Negli ultimi due o tre anni, Covid permettendo, trovo che sia una città un po’ più matura. Poi, soprattutto a livello musicale, è molto vivibile per me.
Prima dicevi che non hai un tuo genere, ma se dovessi definirti attraverso un genere quale sarebbe?
Mh, boh, alternativo. Però credo di essere troppo pop per gli alternativi e troppo alternativo per i pop. A parte rubare le citazioni [ride, ndr], mi sento molto in mezzo. Come se fossi sul confine tra molti generi.