Ecco di quelle interviste che vanno lette come fossero libri. Lunga, decisamente contro gli standard di ogni moda corrente. Decisamente impegnativa anche… a voi la palla se avventurarvi o tirare dritto nella più banale delle soluzioni moderne. E qui di moderno c’è molto nonostante non sembri…Tra storia, memoria, politica in senso alto del termine. Musica ovviamente. Il cantautore Francesco Lattanzi torna con un disco dal titolo forte: “Alla morte”. Disco dall’impronta decisamente antica, classica, sicuramente suonata e pensata in modo artigianale. Un disco artigianale senza dubbio… un disco che parla di vita, dove la morte è solo una condizione allegorica o quantomeno, appunto, politicamente corretta. Sono tante le chiavi di lettura… e noi come sempre indaghiamo da vicino se possibile. Da leggere con attenzione…
Dicotomia tra titolo e copertina. La morte da una parte. Un gelato, il mondo, colori pastello dall’altra. Chi ha ragione?
Ho un’amica, Ilaria Benedetti, che si occupa di disegni e di grafica, siamo nati a poche ore di distanza l’uno dall’altra e abbiamo frequentato insieme la scuola media a Tivoli. Ora lei vive e lavora a Barcellona. Sul suo profilo Instagram vidi tra le varie foto, questa del gelato che rappresenta un mappamondo che si sta sciogliendo. E pensai che fosse l’immagine esatta per la copertina del disco. Il mondo che ho osservato negli ultimi due decenni si sta disfacendo, sgretolando, si stanno perdendo tutti i valori più importanti che dovrebbero tenere legate le persone piuttosto che separarle. La morte di cui si parla nel disco, è appunto, ad una lettura più approfondita, la morte dei valori, i lutti presenti in ogni canzone, sono in realtà dei diversivi, chiamiamoli così, necessari a “sviare l’attenzione dell’ascoltatore” (Ride).
E se ti dicessi che questo disco l’avrei intitolato “Alla vita” ?
Ti risponderei che è un’obiezione che mi è stata fatta praticamente da tutti i tuoi colleghi (quelli che hanno avuto la pazienza di ascoltarlo, il disco). Non voglio addentrarmi in discorsi filosofici, per i quali tra l’altro possiedo zero competenze, più banalmente dico che ogni “morte” può costituire una catarsi, una rigenerazione verso la quale, le persone volenterose, mettendosi sempre in discussione, debbono tendere. E’ un processo che ho vissuto proprio negli anni in cui preparavo questo album. E per la mia personale esperienza, posso dire che è sufficiente un po’ di determinazione ed umiltà per riuscire ad afferrarla, quella vita di cui mi chiedi.
Parlare di cantautorato oggi è assai retrò. Come ti rapporti al futuro delle macchine e dei nuovi suoni?
Rispondo direttamente, senza tentennamenti di sì. E’ una domanda che un po’ mi mette in difficoltà, perché indirettamente mi impone di valutare e anche giudicare il mio lavoro di “cantautore”. E questa è una cosa che può fare solo la storia, non io. Però se mi si chiede di entrare nel merito, posso ampliare un po’ il ragionamento. Oggi ci troviamo in una situazione tragica in ambito compositivo/cantautorale. La mediocrità viene premiata come eccellenza, l’approssimazione, come talento, eccetera. Abbassare il livello culturale di un paese significa poi manipolarlo a proprio piacimento, significa fargli ingoiare un frutto marcescente, spacciandolo per prelibato. E tutto il sistema è complice in questo, compresa l’industria musicale. Purtroppo è questo che sta accadendo in Italia in ambito musicale oggigiorno. Nel mio piccolo ho cercato di rifarmi per quanto possibile alla classicità (anche nelle forme strutturali dei testi) proprio perché credo che quelle cose che sembrano lontane nel tempo, e che col tempo finiscono nel dimenticatoio perché avrebbero fatto il proprio tempo, sono in realtà uno scoglio a cui aggrapparsi in mezzo ad un mare in burrasca. Ho un pessimo vizio, non ho timore alcuno a dire quello che penso, a chiunque, anche a costo di inimicarmi il mondo. Provate a sentirvi la stomachevole “Zitti e buoni” e poi di seguito “La canzone di Marinella”. Scritte a distanza di sessanta anni l’una dall’altra. Da una parte sento solo rumore e parole urlate senza senso, dall’altra parte sento poesia. Parallelamente al tentativo di ancorarmi a forme più classiche del testo, appunto a forme consolidate della nostra poesia (in realtà è proprio questo uno degli obiettivi che intendo perseguire, anche in futuro con le mie canzoni, rifarmi alla o alle varie forme poetiche della nostra tradizione letteraria), ho anche cercato con gli arrangiatori del disco, Gianni Ferretti e Andrea Mattei, di non forzare troppo la mano con suoni sperimentali. Proprio perché abbiamo ritenuto tutti assieme che per quel tipo di storie che volevo raccontare, e ripeto, che volevo raccontare in quella precisa forma, non ci fosse bisogno di suoni spaziali, missili perforanti, lame rotanti e via dicendo. Sembra anzi un approccio, quello dell’arrangiamento di questo album, assolutamente retrò, come dici tu, e lo è.
Ci sono brani come il singolo (e dunque il video) che purtroppo oggi prendono una veste e un significato decisamente attuale. Ci avrai sicuramente fatto caso vero?
Ho iniziato a pensare a questo brano nel 2014. Quando Kristina e Kira Zhuk, madre e figlia di 23 anni la prima e 11 mesi la seconda, furono uccise da un bombardamento a tappeto delle truppe paramilitari naziste ucraine nella città di Gorlovka (Horlivka in ucraino), tra Lugansk e Donetsk. Quando vidi quella foto successe qualcosa. Qualche mese dopo iniziai a scrivere il testo, alternando endecasillabi e settenari. Mi prese parecchi mesi la stesura del testo. Poi musicai la prima strofa e i tre ritornelli. Una mia amica bielorussa mi disse che tra le dieci canzoni dell’album (all’epoca i testi erano tutti già completi) questa, “Gli angeli di Horlivka” era la più significativa. In dieci giorni composi la musica per le altre due strofe e sempre grazie alla mia amica entrai in contatto con il regista bielorusso Dmitri Dedok. Decidemmo di girare il video in Bielorussia, poco fuori la città di Minsk, riproponendo perfettamente gli scenari della seconda guerra mondiale, scenario che fa da sfondo al brano, il significato, come dicevo, è più attuale. Volai a Minsk, città di cui sono ormai un habitué, e programmammo tempi e modi. Gli sarò eternamente grato per quello che ha saputo fare. Ancora oggi chi guarda il video mi fa i complimenti. A proposito di video, abbiamo terminato riprese e montaggio del secondo video tratto dal disco, ci prendiamo anche qui qualche mese di tempo prima di lanciarlo, presumibilmente nel mese di gennaio. Quindi fino ad anno nuovo, tutto top secret.
E dunque oggi come riscriveresti (se riscriveresti) questo disco o alcune canzoni?
Vuoi farmelo riscrivere da capo ? Credo che, qualora avvenisse, rischierei di andare veramente incontro “alla morte”…..Battute a parte, Questo disco nel 2017 era già finito per ciò che riguarda testi e musiche. Da lì è iniziato una specie di calvario, arrangiato, modificato, abbiamo inciso la voce una prima volta, poi è arrivata la pandemia, tutti fermi, poi andandolo a riascoltare ci siamo resi conto che la voce andava registrata tutta ex-novo e conseguentemente a questo abbiamo avuto ricalibrare gli arrangiamenti. Un calvario appunto. Insomma in origine, l’idea era di farlo uscire nel gennaio del 2019, nel ventennale dalla scomparsa di De André. Poi nel 2021, perché coi tempi eravamo troppo stretti, altre modifiche , altri ritocchi, morale della favola, il disco è stato pubblicato nel febbraio del 2023. Un’idea che ho, per tutte le canzoni pubblicate fino ad oggi, quelle del primo disco “Turno di notte” e quelle di cui parliamo ora, è di provare a sentirle in chiave acustica, ma è più una curiosità personale che altro, intanto mi concentro sul prossimo, qualcosa di pronto già c’è, ma è ancora presto per avere una visone nitida del progetto.