Francesca Michielin è un’ottima artista, e “Cani Sciolti”, il suo ultimo disco, ne è l’ennesima prova.
È un disco strutturato, semplice ma raramente banale, genuino e molto espressivo, vicino a quella che sembra essere la complessità emotiva di un’artista che negli ultimi anni ha compiuto un cammino di crescita molto interessante.
Perché, al di là dei generi e degli ascolti, “Cani Sciolti” è un disco che si fa sentire, ma questa non è una novità. Già in “2640″ avevamo assistito ad un exploit importante per la cantautrice veneta, per quanto collaborazioni con penne importanti alla scrittura pesassero e non poco in alcune situazioni (si pensi a un pezzo come “Io non abito al mare”, in cui la mano di Calcutta c’era e si sentiva).
Anche dopo un intero album di featuring (e successiva re pack in deluxe edition con “Feat”), qui le collaborazioni importanti alle produzioni non mancano. Ciò non toglie nulla a un’artista che con questo album conferma di aver raggiunto appieno la maturità artistica.
Così, come già detto, all’ascolto ci propone un disco vario e ben articolato, che sa andare dal pop da classifica (con tanto di pezzo estivo ben piazzato nella tracklist) alle ampie ballate dal sapore vagamente rock, fino all’art pop che però la vede totalmente calata, per temi e scrittura, in un clima musicale profondamente connesso al nostro Paese.
Lasciar scorrere l’album significa passeggiare nell’immaginario personale che Francesca Michielin ha definito per se stessa negli ultimi anni. Ecco che il disco la vede andare oltre il semplice resoconto emotivo e personale, mostrando ancora una volta l’importanza che hanno alcune cause nella sua vita, sapendo così trovare spazio anche per esprimere il proprio punto di vista, alle volte anche in maniera ironica, sempre con la sua voce come guida fra le storie che disegna e racconta.
Quello stesso Dio che poi preghi dall’altare
Perché dici in giro che siamo tutti uguali
Se poi voti i razzisti ai consigli comunali?
Un disco impegnato? Sì e no.
Nello stesso posto in cui incontriamo racconti d’omosessualità e di denuncia verso una provincia sempre più opprimente (almeno agli occhi della cantautrice), trovano spazio ballad romantiche – alle volte anche autoreferenziali – che sembrano favorire maggiormente il pubblico radiofonico. Va comunque detto, a scanso di equivoci, che i contenuti quando ci devono essere ci sono e trovano la loro strada, ma va prestata attenzione, altrimenti si rischia di perdersi.
Lavoro buono quindi, a tratti anche molto buono, ma a tratti anche no. C’è tanto, tantissimo, alle volte anche un po’ di ridondanza: alcune parole, alcuni suoni, sembrano tornare magari in maniera voluta, ma perdendosi alle volte in uno specchio che, se non guardato con attenzione, rischia di appiattire un po’ piatto, simile a se stesso.
Resta comunque un disco interessante, che nonostante una sua vena spiccatamente pop ha contenuti ed energie giuste per potersi connettere al pubblico senza compiacerlo o adularlo. Forse, in questo disco, l’intenzione è diversa da quella del passato artistico di Francesca Michielin che è un’artista sempre più consapevole.
L’impressione è che questo disco rappresenti, addirittura, un taglio netto rispetto al passato. Impressione che diventa ancor più chiara pensando a come gli arrangiamenti, anche quelli più essenziali, sono sempre molto ricchi di musica e strumenti, giocando un ruolo essenziale nello scolpire un’immagine ben definita della giovane cantautrice veneta. L’intenzione, allora, sembra quella di voler uscire dai club per prendere posto (di nuovo) nei teatri, di certo più adatti ad accogliere un certo tipo di forme o almeno quelle proposte in “Cani Sciolti”.
Difficilmente immaginerei un disco del genere suonato in qualche festival all’aperto – a meno che non siano situazioni tipo Cavea.