– di Giuditta Granatelli –
Frada è Francesco D’Agostino, nato ad Avellino, classe 2000. Appassionato di musica fin da bambino, esordisce nel con “Felpa blu” nel 2019, che gli apre la strada per la partecipazione ai concerti di Franco126 e Venerus. Nel giugno 2021 pubblica “Mosca”, seguito da “30 in hotel” e da “Perché mi guardi così”, uscito lo scorso novembre. Gli ho fatto qualche domanda per approfondire questi suoi ultimi brani e le sue ispirazioni.
Mi ha particolarmente colpito il video del nuovo singolo, che sembra presentare alcune simbologie particolari. Approfondiresti un po’?
Certo, tutte le scelte che riguardano il video non solo casuali. Mi attira molto tutto ciò che è strano, fuori dall’ordinario e ho voluto provare a rappresentare proprio delle immagini decontestualizzate allo scopo di lasciare stranito lo spettatore, motivo per cui nel video faccio un uso improprio di alcuni oggetti semplici, come quando sembra che voglia lavarmi via i tatuaggi. Mi sono reso conto che nonostante persone, cose e azioni ci appaiano per come sono noi proviamo sempre a interpretarli più del dovuto, vogliamo dare a tutti i costi un significato a ogni piccolo gesto. È proprio questo atteggiamento che vorrei decostruire attraverso il videoclip.
“Perché mi guardi così” è un’ode a questa persona tanto unica quanto insicura. Cosa ti ha spinto a dedicarle questo brano?
Il testo è semplicemente stream of consciousness, un flusso di pensieri su un argomento che mi sta molto a cuore. E questo perché scrivo quasi sempre di getto, lasciandomi trasportare dalla musica, dalle emozioni uniche che mi dà ogni strumento; spesso mi capita di scrivere e rendermi conto dopo che quelle parole hanno senso, un significato, e così è stato per questo brano. Mi piace agire d’istinto, questo in generale, e sento che il mio stile di scrittura è in costante evoluzione. Sono curioso di sapere dove mi porterà in futuro.
Questa nuova uscita contrasta con “Mosca”, che invece parla di te.
Sì, “Mosca” tratta di una parte di me che avevo bisogno di tirare fuori nel momento in cui l’ho scritta e che esiste tuttora ed è importante. Sono una persona con un carattere estremamente calmo e razionale, ma i momenti che mi hanno segnato di più sono stati quelli in cui mi sono lasciato andare. Mosca è un po’ un tributo a quelle situazioni.
A quali artisti t’ispiri?
A nessuno in particolare in realtà, i miei ascolti sono piuttosto variegati, mi piace un po’ di tutto. Fino ai 16 anni ero un purista, ascoltavo solo musica anni ’60 e ’70, preferivo artisti come i Beatles, Jimi Hendrix o i Doors a quelli contemporanei per cui impazzivano i miei coetanei. Con il tempo però mi sono innamorato anche del rap e della trap e dal 2016 ho seguito molto la scena italiana, ascoltando quasi ogni nuova uscita. Quando scrivo metto insieme la carica del rock all’attenzione per il flow e le liriche del rap.
Leggo nel tuo comunicato stampa che sei di Avellino. Come ha influenzato il tuo percorso artistico questo ambiente?
Provenire da una realtà provinciale ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Uno dei pro paradossalmente è la noia, che va a braccetto con la creatività e che quindi a livello musicale mi ha aiutato molto. Inoltre in paese, si sa, ci si conosce tutti e questo ha influenzato la creazione del mio team, che è formato solo da persone fidate e con cui cresco ogni giorno. Il contro principale invece è che non ho molte opportunità di ampliare la mia rete di contatti e di conoscere persone nuove e interessanti, tutte cose che la vita in una città grande invece rende molto più facili.
Che progetti hai per il futuro?
Ho scritto tantissimo negli ultimi mesi quindi credo che farò una cernita e selezionerò i migliori pezzi per un progetto più in grande. Spero anche di poter suonare in giro per l’Italia la prossima estate.