Alfredo Puglia, sardo e apolide allo stesso tempo. Forelock per l’anagrafe discografica. Esce un Ep per la Tempesta Dub che mescola il mondo che vede attorno con il futuro digitale che però mai si scolla dalle grandi scuole. “Follow me” è un sentiero nevralgico di sensazioni sospese dentro cui rintraccia tantissime cose diverse… a mio modo, sotto traccia, ci sento anche una ritualità klezmer. Ma sono visioni mie personali…
Un primo Ep come artista solista. Che novità porta nel tuo suono questa condizione di “solitudine”?
La novità più grande ed anche un po’ più difficile da metabolizzare è la responsabilità. Come è classico delle formazioni band ma anche più in generale nella vita il gruppo ti fa sentire spalleggiato e abbassa un po’ il tuo livello di responsabilità nei confronti di quello che è il lavoro da proporre. Certo facendo il così detto frontman ho sempre avuto un po’ l’appoggio totale del resto della band Arawak ma il mio modo di rapportarmi mi metteva comunque sempre nelle condizioni di considerare anche ciò che piaceva alle persone con cui lavoravo.
Con questo EP è stata la prima vera volta in cui ho lasciato andare tutto e tutti. Forse anche un po’ nella leggerezza del momento particolare (primo lockdown), in cui ho iniziato a tirare giù le prime idee, sentivo che gli ordini e le priorità si erano ribaltate. Hai presente un po’ quella sensazione di “si salvi chi può?” … ecco in quella condizione ho detto “adesso vorrei fare le cose in un modo (quello mio) che in realtà non esisteva. Esiste ora quel modo, ora che ho capito che lavorare così mi piace e mi fa sentire davvero bene. Volevo sentire l’elettronica ad accompagnare le melodie e la loro scrittura e così è successo. Di tanti momenti che hanno accompagnato questo percorso di rimessa in discussione sicuramente il più significativo è quello in cui ho riascoltato le pre produzioni e ho percepito da subito che stavo facendo la cosa giusta.
Ultranoise e Paolo Baldini a co-firmare il suono e le sue soluzioni: scelte che hai fatto a prescindere o sono collaborazioni che hai accolto per caso?
Ultranoise (ex Ioshi) è stato il primo a cui mi sono rivolto perché mi piacevano tanto le sue sonorità. Aveva prodotto poca roba per altri, si è sempre dedicato alla musica e l’elettronica in generale e un po’ meno a costruire strumentali per cantanti. A lui ho chiesto di colmare il gap che mi teneva ancora un po’ legato a certe logiche di genere per aiutarmi a spostare il sound su qualcosa che riportasse all’urban. Nei primi provini che abbiamo fatto, i suoni erano tipicamente Drill, i bassi glissati e c’era sempre un drumming molto ricco. Il lavoro insieme a Fede è stato decisivo e gli sono davvero grato.
Lui ora sta lavorando con un altro cantante Paolo Petrillo (ex Catchafaya) e fanno delle cose davvero belle. Il lavoro è stato un po’ lungo: io non volevo ritrovarmi in una condizione di compromesso con un altro e ho chiesto a Ultranoise la cosa più brutta da chiedere ad un talentuoso beatmaker e cioè cercare di limitare la creatività musicale per dare più spazio possibile a ciò che già stava dentro la canzone. Credevo che i brani comunque funzionassero da soli, abbiamo cambiato mille arrangiamenti e cercato soluzioni lontanissime tra loro. Alla fine Fede ha iniziato a rimandarmi indietro solo cose di cui (dal mio punto di vista) la canzone avesse bisogno. Una volta conclusa questa lotta tra creatività diverse il testimone è passato a Paolo Baldini a cui è stata affidata la ripresa delle voci, l’edit e il missaggio con tutto ciò che ne consegue. Lavoro anche questo di fino che ha regalato al disco finito una qualità sonora di cui sono davvero felice.
Tante le indicazioni che l’Africa sia molto vicina a questo disco. La tua voce e quel certo modo di fare prima di tutto. È solo una mia sensazione?
Sorrido dalla felicità mentre leggo e scrivo…
Sono felice che si senta e che te ne accorga. L’Africa (e la sua musica) ha rappresentato il momento in cui nella mia formazione si è scardinato l’approccio prettamente accademico alla musica. Ho scoperto che le architetture sonore e ritmiche sono alla base della nostra natura e vanno oltre l’invenzione umana. La musica africana lo dimostra prima di tutti. Partecipai in conservatorio (studiavo pianoforte classico ai tempi) ad un masterclass di Percussioni e ritmi africani con un maestro del Senegal. Sono impazzito totalmente! Mi portò con sé a suonare in giro per i palchi e poco dopo diventai solista della sua ensemble. Quando successivamente arrivò la reggae music nella mia vita ci trovai tutta l’Africa dentro e fu un’evoluzione naturale per me. Le ritmiche si spostano sul flow del cantato tenendo il principio della ripetizione ciclica dei vari loop ritmici con altre dinamiche. Si l’Africa è molto vicina a questo disco perché mi ci ha accompagnato lei.
Il due alla fine cessa quasi di esistere dentro l’ultima traccia: “Dumping”. Un cambio di rotta che porta con sé quale significato?
Il significato di partenza era quello di liberarmi dagli schemi perché nell’arte e soprattutto nella musica non mi piacciono e non mi sono mai piaciuti. Poi durante il lavoro sul disco in realtà si sono raccolti altri significati e altre spinte. Sono tutte però derivate dal fatto che viviamo nel 2023 dove non si capisce più cosa è superato e cosa invece ancora è da scoprire. Troppo veloce tutto e non sai cosa magari avrebbe potuto rappresentare qualcosa di significativo perché esaurito in un soffio con l’arrivo dell’uscita successiva. Questo andamento fluido delle cose si è stabilizzato ormai e io che amo la musica per come riesce a stare viva nel tempo avevo la necessità e il desiderio di sentirmi attuale. L’ep è molto vario, tenuto insieme e legato dalla mia voce.
Questo lavoro lo immagino come se fosse una foto ad una macchina di formula uno in corsa a cannone su un percorso fatto di generi musicali. Va troppo veloce e alla fine avrai una scia disegnata sui diversi generi. Non sono io però che corro ma è il mondo di oggi che funziona così e con questo lavoro ho solo deciso di non far finta che non sia così.
Sarai da solo anche dal vivo?
Ho iniziato con le prime date. Esperimento riuscitissimo perché porto in giro una formazione di 3 musicisti pazzeschi. Vengono tutti dal reggae come me ma hanno studiato e vissuto la musica a 360 gradi. Quindi no, non sarò da solo perché ancora l’idea di stare sul palco e “suonare” la musica mi da una soddisfazione unica. Tra l’altro sto cercando di rendere il live sempre molto modulare e far sì che quello che può succedere sul palco si trasformi sempre in una cosa prevista ma non organizzata.
Mi diverto col pubblico, cerco sempre l’interazione al 100% e non ho al momento voglia di vivere live in maniera troppo introspettiva. Ho avuto abbastanza tempo per godermi i vari isolamenti, mi piace vedere i sorrisi e le mani al cielo della gente. Poi qualche momento più riflessivo c’è come è giusto che ci sia in ogni viaggio.