I Fleurs du mal sono una di quelle poche band che con merito s’è guadagnata l’appellativo “underground”, grazie a quasi trent’anni di attività sulle spalle. E non solo va riconosciuto il merito di aver resistito alle intemperie di questi decenni, ma di aver mantenuto una coerenza e una credibilità ammirevoli, senza mai giungere a compromessi e continuando a proporre la propria musica a base di rock’n’roll, blues, swing e tutte le paraphernalia del caso. Il che, visto da un’altra ottica, potrebbe quasi esser visto come un difetto, se non addirittura un limite.
Fatto sta che l’ultima creatura partorita dalla band capitanata da Stefano “Iguana” De Martini è puro intrattenimento. Provate a sospendere il giudizio, non fate caso agli ultimi quarant’anni di storia e abolite qualsiasi concezione di “musica elettronica”; quando vi sarete sturati le orecchie da molta immondizia con cui oggi ci ingozzano potrete ricordare che una volta si faceva musica per divertirsi, bere, ballare e ingannare il tempo. “Swinging boat”, questo il nome del nuovo cd, riesce bene nell’intento: nessuna pretesa di spostare di una virgola l’asticella della musica più in là, nessuna pretesa di cambiare le regole del gioco, soltanto 40 minuti di musica, un c’era una volta che ha ancora il suo fascino; sicuramente non si va al di là dello standard e di tutti i classici stilemi del genere e con fatica ci si spinge oltre la scala pentatonica, eppure preso per quel che è il disco merita perlomeno un ascolto. È una esperienza che in un certo senso si può paragonare quasi ad un elaborato filologico, volto a riassume tutto il sound route 66 e oltre, che si sposta bene dal 12 bar blues di “Gone”, agli accenti swing di “Swinging Boat”, la title track (titolo emblematico in effetti) fino al riff ZZ Top di “Revolution blues”; in più, il sound diventa quasi beat italiano anni ’60 in “Soffia il vento” e si mimetizza tra le distese polverose tex-mex, con tutto il sapore pepato del latin sound alla Santana in “Mujer Maya”. E perché non citare anche il rock bottle neck di “Feed your soul”?
Bene, che altro dire? I musicisti sono capaci e valenti, i riff ci sono e le canzoni sono energiche e sapientemente scritte: il piede batte il tempo per tutta la durata del disco. Bella le sezione dei fiati, belli gli assoli, bello il groove; c’è solo da immaginare quanto possa esser coinvogente dal vivo la big band.
Certo, l’ho detto e lo ripeto, le sorprese son poche e difficilmente ci sarà qualcosa da farvi restare sbalorditi, ma se volete sentire come si suona oggi il blues, il rock, il funk e tutti quei generi di cui quasi ci si vergogna nelle radio, date un’ascoltata a “Swinging boat”. Magari capirete perché i Fleurs du mal girano da trent’anni.
Riccardo De Stefano