Un titolo importante che corre parallelo alla sua immagine di copertina: accorgersi qualcosa della propria vita, qualcosa che c’è, che sempre c’è e si mescola e quasi si nasconde dentro le ansie e le frenesie del ritmo quotidiano. Feexer pubblica un disco che oseremo definire post-rock per quando sono tante le derive che la forma pop sembra imprimere a scritture che dalla loro sanno come farsi intime: “Don’t Bother”, autoproduzione che vede ai comandi proprio lui, Manuel Ciccarelli all’anagrafe, alternativo nel pensiero, internazionale nei suoni e nei modi di pensare alla musica.
Da più parti gli artisti inneggiano ad una resistenza contro questa vita. Non lasciarsi andare… è davvero così importante, anzi così difficile restare a galla?
L’arte è senza dubbio lotta, molto spesso si nutre delle nostre reazioni a ciò che ci circonda. Se oggi dovessimo individuare quello che non funziona lo riassumeremmo nella cultura di massa dell’intrattenimento. Siamo costantemente stimolati a fruire di contenuti certamente accattivanti, ben confezionati, ma che stimolano scarsamente la nostra iniziativa, la nostra voglia di esprimerci. Guardiamo bellissime serie tv, reels di pochi secondi che ci invogliano a vederne ancora migliaia. Forse la vera resistenza è la consapevolezza che, facendoci soltanto intrattenere, non potremo mai dire qualcosa di nostro. Fermarsi, allontanarsi dall’intrattenimento per poter riflettere su chi siamo e su cosa possiamo comunicare al nostro prossimo è una presa di coscienza non così semplice, soprattutto per i più giovani. Al tempo stesso non demonizziamo assolutamente la realtà contemporanea, ci sono tantissime cose che funzionano. L’apatia generata dal bombardamento comunicativo resta però un pericolo evidente. Non è facile uscire dal torrente in piena, ma probabilmente se vogliamo nutrire l’arte che è dentro di noi dobbiamo arenarci e ricavare una nostra tana creativa.
Personalmente questo disco cosa rappresenta per te: una salvezza o la conclusione di una rinascita? Insomma una semina o un raccolto?
Fortunatamente non è più un’esperienza artistica “solitaria”, grazie all’arrivo nella band come membro fisso del batterista Stefano Mazzoli, amico ed ex-membro come me degli Zeroin. Per me individualmente è senza dubbio una semina, un alzare la mano e far sentire la voce finalmente nel modo che ho sempre desiderato. Il suono del disco e le sue nove canzoni le sento tutte molto fedeli a quello che è il mio sentire, molto più coerenti su questo versante rispetto a quello che sono riuscito ad esprimere in passato. E forse ancor più che l’intenzione è il lavoro che c’è dietro a quello che è stato prodotto che mi ha dato, ci ha dato, grande soddisfazione. In fondo siamo tutti maniaci del controllo e ci piacerebbe che le nostre strade, anche artistiche, andassero sempre dove ci immaginiamo. Molto spesso non è così, ma se arrivi alla fine di un disco sentendo tuo al cento percento quello che riascolti vuol dire che sei stato molto fortunato. La possibilità di creare un lavoro nuovo come band totalmente indipendente ha contribuito fortemente da questo punto di vista.
Del suono dovremmo parlare ampiamente: perché anche se l’ossatura sembra minimale in realtà il post rock dalle fattezze inglesi sembra ampiamente prodotto. Cosa ci dici?
Ci è capitato di ribadire in altre interviste che tutte queste canzoni hanno un’ossatura comune: una chitarra e una linea di voce, che sono rimaste al centro di tutto il lavoro successivo. Poi ovviamente ci sono gli altri strati, gli altri strumenti che creano l’amalgama vero e proprio del disco. Diciamo che su questo il confronto è stato acceso! Io e Stefano, assieme a Giuseppe Bassi del dysFUNCTION Studio, che ringraziamo infinitamente, abbiamo lottato a lungo tra di noi per capire come arrivare a un qualcosa che potesse soddisfarci tutti, mantenendo quanto più possibile l’intenzione iniziale di quello che avevo scritto. All’inizio è stata dura, ma anche questo è parte della bellezza del disco. Nonostante i piccoli scontri lentamente i pezzi del puzzle hanno trovato la loro collocazione e un compromesso che inizialmente poteva inorridirci, ad esempio, si è spesso rivelato indovinato. Quello che ne deriva ci soddisfa e vediamo che diversi ascoltatori ritrovano intenzioni molto diverse in quanto a influenze in quello che abbiamo realizzato. Sicuramente il rock alternativo di matrice britannica ci ha nutriti di cose molto belle, siamo soltanto felici se questa influenza risuona più delle altre.
Perché tanto mondo altro rispetto all’Italia? Cosa va stretto del nostro tempo e della nostra terra ad un artista come te?
Su questo mi sento meno in linea col concetto di reazione che analizzavamo prima. Non abbiamo nulla contro l’Italia e la realtà musicale locale o nazionale. Siamo sempre stati molto convinti di quello che volevamo esprimere senza la necessità di un confronto a tutti i costi con quello che ci circonda. Semplicemente non c’è bisogno. Nel 2023 un artista si affaccia direttamente alla finestra del mondo, anche se ovviamente sarebbe bello ritrovare tanto di quello che uno fa nell’orticello di casa. Per noi questo non è mai stato un problema, non ci sentiamo certamente soffocati artisticamente dalla realtà italiana, che continua e continuerà a prediligere altri generi rispetto al nostro. Direi invece che stiamo riscoprendo grazie al nostro nuovo chitarrista Alex Cavani (Le Piccole Morti) un sottobosco alternativo emiliano-romagnolo molto vivo e interessante.
Evocativa questa immagine di copertina: sembra l’illuminazione sacrale e richiama molto quel film “The Qube”: uscire fuori da un sistema che ci imprigiona… la tua chiave di lettura?
La mia chiave di lettura della copertina del disco è forse più semplicistica. Prima ancora delle illuminazioni sacrali occorre accorgersi di qualcosa nella propria vita. A volte è qualcosa di casuale, a volte ci mettiamo del nostro, spesso è il rendersi conto che si è perso tempo in cose non particolarmente fondamentali. Questa immagine è un fotogramma del primo video di Feexer girato da Paolo Viesti per il singolo “Higher”, un frame che mi aveva sempre colpito molto. Non siamo molto lontani da quello che accennavamo all’inizio: a volte fermarsi nella vita ti dà la possibilità di cambiare prospettiva, di accorgerti di qualcosa che forse è sempre stato lì e che ci attendeva a braccia aperte. Quella luce può essere qualsiasi cosa, per me sono queste nove canzoni.