Un disco. Un libro. Uno spettacolo. In fondo è la narrazione il vero ponte che oltrepassa tutti i mari e collega isole spesso troppo distanti. Ma in fondo niente è così distante se c’è una storia a sconfiggere il tempo. Questo nuovo disco di Federico Sirianni ha dalla sua la magia della narrazione dentro canzoni di una preziosissima “antica” normalità, dove il suono non è secondo alla parola, dove la lirica non è subordinata alla forma. E troviamo Raffaele Rebaudengo, violista e compositore degli GnuQuartet e il produttore elettronico FiloQ a restituire traccia al tempo moderno senza offuscare l’antico mestiere ma arricchendone la visione e l’esperienza. Si intitola “Maqroll” questo nuovo disco di Federico Sirianni, di scuola genovese che a lei sempre si appoggia e sempre deve ispirazione, a quel certo modo di arrotondare le vocali e di impostare le consonanti, a quella meravigliosa presunzione poetica di saper dare personalità ai significati. Si ispira al famoso gabbiere di Alvaro Mutis che qui diviene la scusa buona per osservare la navigazione di tutti noi, in balia delle acque non più tanto sicure… all’orizzonte arriva qualcosa di inatteso… serve sempre poterlo guardare prima che arrivi…
Ed è anche un libro questo “Maqroll”, un’antologia di scrittori, poeti, illustratori e fotografi che ragionano, a loro modo, “sull’incollocabilità”… e dentro scorre la penna di molti, da Enrico Remmert a Remo Rapino, da Anna Lamberti-Bocconi a Bruno Morchio, da Vincenzo Costantino Cinaski a Guido Catalano, da Roberto Mercadini a Martha Canfield, traduttrice e amica di Alvaro Mutis…
Ed è anche uno spettacolo di narrazione e canzoni diretto da Sergio Maifredi e prodotto da Teatro Pubblico Ligure…
Prima di parlare di “Maqroll” io parlerei di radici. Le celebri nella canzone d’autore ma in qualche modo te ne allontani con l’avvento del digitale… vero?
L’avvento del digitale ha offerto nuove possibilità sonore e di fruizione della musica. Per quel che mi riguarda la scrittura della canzone tende alle “radici”, nel senso che nasce con la penna in mano e lo strumento (piano o chitarra che sia) accanto. Ed è importante che la canzone sappia vivere e girare “nuda”. Da lì si può vestirla in tanti modi e, in questo senso, saper utilizzare le tecnologie contemporanee e le infinite possibilità sonore che offrono è un grande valore aggiunto.
Se poi posso azzardarmi: è la prima volta che il tuo suono e la tua forma sono così “distanti” dalle radici? E le virgolette sono dovute ovviamente…
In realtà già nel precedente album “Il Santo” qualcosa del genere si trovava, ma era ben nascosto tra le pieghe più classiche del folk e del blues. In quest’occasione l’idea è stata quella di creare una vera e propria colonna sonora al racconto, che fosse quasi cinematografica o da serie tv. Il lavoro sull’elettronica di FiloQ, uno dei due produttori insieme a Raffaele Rebaudengo, musicista degli GnuQuartet, è stato prezioso e, soprattutto, non invasivo, nel senso che ha rispettato totalmente la priorità della narrazione e il mio “ruolo” di cantautore.
E dunque parliamo del gabbiere Maqroll, parliamo della letteratura di Alvaro Mutis… perché questa direzione?
È stato un incontro abbastanza casuale, una notte a Udine in casa di amici. Non riuscivo a dormire e in una libreria ho trovato “Trittico di mare e di terra” di Mutis, scrittore che conoscevo poco. Mi sono completamente immerso nelle avventure e nei naufragi del marinaio gabbiere Maqroll che, in pochissimo tempo, è diventato un amico di famiglia, un compagno di viaggio, un riferimento per il tema che avrei toccato e sviluppato in questo nuovo progetto: l’incollocabilità.
In un tempo di pandemia… questo disco quanto ne è stato contaminato?
Le canzoni, a parte “Una sorta di naufragio” che tenta di raccontare in maniera storicistica questo periodo livido e contraddittorio, sono tutte antecedenti al primo lockdown. Nel periodo pandemico ho scritto poco o nulla, ma ci siamo concentrati sugli arrangiamenti e sulla produzione del disco. Avrebbe dovuto uscire nello scorso periodo natalizio, ma forse questa chiusura prolungata ha fatto sì che ci prendessimo più tempo per curarlo davvero nei minimi dettagli. Sono molto contento del risultato e, per un iper autocritico come me, è una dichiarazione di non poco conto.
Ed è bellissima questa copertina…
È vero. È stata ideata e realizzata da un amico illustratore di Torino, Davide Fasolo. Mi è subito piaciuta e da subito ho pensato che dovesse essere la copertina del disco.