– di Martina Rossato –
Federico Mecozzi ha cominciato a suonare la chitarra da piccolissimo. Quando si è trattato di fare sul serio però ha deciso di iscriversi al corso di violino al Conservatorio di Rimini, strumento da cui non si è più separato. Quando lo chiamo per fare una chiacchierata sul suo nuovo disco “Inwards”, in uscita il 7 ottobre e anticipato dal singolo “The end of the day“, mi risponde dalla Spagna con la sua voce dolce e gentile. Mi racconta di non essere ancora tornato dalla tournée con Ludovico Einaudi.
Pensavo fossi già tornato dal tour con Einaudi! Come sta andando?
No, non ancora: siamo a Madrid per le ultime date. Il tour sta andando benissimo, lui è inarrestabile; ora che siamo in Spagna poi c’è un pubblico caldissimo, molto latino, è super bello!
Suonare con lui è una continua crescita. Sono 13 anni che suoniamo insieme, da quando ero veramente giovane. Lavorare con Ludovico è sempre un’emozione unica e mi dà l’opportunità di viaggiare, che è sempre molto gratificante. C’è un clima molto familiare ormai: sono tanti anni che si gira insieme ed è una seconda famiglia, oltre che un continuo arricchimento artistico!
Sei un violinista e sempre più spesso si tende a dimenticare l’esistenza degli archi, che invece ci sono e sono una parte fondamentale della musica, ancora oggi. Ti è mai capitato di sentirti un po’ “snobbato” in quanto violinista?
Per fortuna no [ride, ndr]. Forse perché cercando di essere sempre il più umile possibile, si accetta il proprio ruolo più facilmente. Ho la consapevolezza che gli strumentisti sono una categoria più nascosta rispetto ad altre, come quella dei cantanti. La figura che spicca è la voce e il pubblico tende a non considerare che dietro c’è un sostegno enorme da parte dei musicisti e della produzione.
Devo dire che purtroppo c’è poca attenzione in generale verso la musica strumentale, considerata di nicchia. Nei miei progetti, nei miei album cerco sempre di creare una contaminazione tra il violino, che ha proprio una radice classica, e sonorità più immediate e “moderne”. È la mia ricerca, è quello di cui ho bisogno; io stesso sono uno che ascolta musica a 360° e mi piace riprendere le contaminazioni dei miei ascolti e dei miei incontri e renderle parte di ciò che compongo. Secondo me è difficile che il violino (come gli archi in generale) non catturi il pubblico a livello emotivo. L’importante è che il pubblico sia disposto ad ascoltare, a quel punto non si può non essere trasportati.
A proposito di pubblico, qual è il pubblico a cui cerchi di arrivare? Dove ti vedi nel panorama musicale?
Più volte è venuto fuori il “problema” di collocarsi in un determinato spazio, anche del mercato discografico. È un discorso che non mi ha mai coinvolto così tanto perché credo molto nel trovare una propria cifra stilistica, un proprio mondo sonoro. Più è innovativo, meglio è.
Se mi chiedi a chi mi rivolgo, ti rispondo che mi piace molto l’idea di arrivare a persone che più difficilmente ascolterebbero uno strumento come il violino, persone che credono di non apprezzare la musica strumentale perché si ritengono lontane dalla classica, perché la ritengono più ostica. Arrivare a queste persone abituate ad ascoltare musica più “leggera” è ancora più significativo, vuol dire avvicinare la gente ad un ascolto diverso da quello cui è abituata. Mi piace l’idea di rivolgermi a chiunque, sia a chi ascolta già musica classica e strumentale, sia all’ascoltatore “medio”, più distratto. Parlare ai giovani, ad esempio, che più difficilmente si sentono coinvolti da questo genere di strumenti e di mondo musicale, è una cosa bellissima. Quando riesci a catturarli, è una sfida vinta!
Ti sembra di riuscirci? Com’è la risposta del pubblico?
Suonare dal vivo è sempre molto bello. È la spinta per andare avanti con il mio progetto: quando arriva il momento del concerto, che per me è il momento sacro, di massima espressione di un artista, più di qualsiasi momento compositivo o di registrazione, c’è questa comunione emotiva bellissima. Personalmente rimango sempre colpito e commosso nel vedere che le persone rispondono sempre in maniera entusiasta. Questa è la sublimazione del mio percorso, che mi porta ad andare sempre oltre.
Sei anche stato direttore d’orchestra per Sanremo. Come hai vissuto quel tipo di realtà?
È stata un’esperienza molto divertente e significativa. È un mondo distante dal mio, io non appartengo al mondo televisivo, non farei mai il cambio tra quel tipo di realtà e il tour, il live, il contatto diretto con il pubblico. Saremo è una giostra che gira velocissima: in quella settimana sei travolto da tutto quello che hai attorno, sopra e sotto al palco. È un movimento molto intenso, poi dirigere un’orchestra di quel livello e farlo accompagnando grandi artisti è meraviglioso. Si crea un bellissimo feeling artistico, penso ad esempio ad Enrico Nigiotti.
La direzione di orchestra è un’attività che mi piace molto riprendere ogni tanto: è qualcosa di diverso dal suonare, ti dà una visione totale della musica, entri in un’ottica differente e affascinantissima. In quel momento stai suonando un’orchestra intera, è una sensazione speciale. Però mi sento prima di tutto un violinista, polistrumentista, quella è una cosa in più che ogni tanto ho bisogno di vivere.
Era una cosa che avevi in mente di fare?
Ho studiato direzione d’orchestra per un po’ di anni quando studiavo violino in Conservatorio. Suonando come violinista in orchestra, ho cominciato ad appassionarmi alla figura del Direttore e così con il Direttore del Conservatorio di Rimini ho intrapreso un percorso di studio che è stato molto formativo. È una dimensione che ho voluto approfondire, ma volutamente non è mai diventata la mia strada principale. Poi è arrivato Sanremo, bellissima occasione per rispolverare quell’attività.
Nel 2019 è uscito il tuo primo disco, “Awakening”. Cosa è cambiato da quel momento e come ti senti adesso per il nuovo disco?
Quando è uscito il primo album è stata un’emozione grande. Dopo tanti anni di collaborazioni sentivo il bisogno di far uscire qualcosa di totalmente mio e che esprimesse il linguaggio che volevo comunicare. “Awakening” è il risultato di tante esperienze musicali, sicuramente molto ispirato alle esperienze di vita che facevo e che sono tornato a fare dopo la pandemia: i viaggi, gli incontri… è un disco molto dinamico perché esprimeva il mio stato di quel momento.
Poi il Covid?
Poi, come sappiamo tutti è arrivato il Covid. C’è stato tutto il periodo in cui eravamo costretti a stare chiusi in casa e mi è venuto spontaneo tornare a scrivere e comporre in modo concentrato. Il mio linguaggio è cambiato: è passato qualche anno, c’è una differenza totale rispetto a quello che stavamo vivendo in pandemia. Il nuovo album che uscirà, come dice anche il titolo “Inwards”, è molto più introspettivo, un viaggio interiore. È un’autoanalisi dettata dal fatto che non avevo la possibilità di trovare libertà fuori, non stavo viaggiando e non ho potuto fare altro che cercare più dentro. È un album a tratti più scuro, ma sono molto contento, non vedo l’ora che esca e di portarlo in giro!
Il tour parte l’8 ottobre e passerai anche da casa, a Rimini!
Sì, le date sono ancora in via di definizione, è l’inizio di un tour che mi porterà in tutta Italia e più avanti sicuramente anche fuori. La tappa riminese è per me inevitabile e fondamentale: suonare in casa è forse ancora più emozionante, c’è una sorta di gratitudine verso le persone e la città che spinge a dare il massimo. Tra l’altro nel 2019 ho presentato “Awakening” a Rimini, nella data zero. C’è un legame fortissimo con il fatto di suonare al Teatro Galli, che tra l’altro era appena stato restaurato dopo i bombardamenti della guerra mondiale. C’era una storia di rinascita e di risveglio molto significativa.
Nel tuo progetto mi sembra ci sia molta attenzione a questo tipo di dettagli e anche all’aspetto visivo. Penso ai tuoi video, ad esempio.
Trovo che storicamente la musica si sia sempre sposata in maniera perfetta con le immagini. Lo insegna anche la storia del cinema. Lavorando con Einaudi ho avuto la fortuna di lavorare anche a colonne sonore, ed è una trasformazione molto interessante dell’idea musicale. Le immagini e la musica si sublimano insieme, quindi anche nei videoclip c’è una ricerca di questo tipo, che parte dal cercare di capire come è nato il brano, qual è stata la suggestione iniziale dentro di me. Dopo di che, il video è solo una delle mille interpretazioni che si possono dare alla musica. Penso che al di là dell’ispirazione individuale, la musica strumentale debba arrivare in modo incondizionato alle persone. È giusto che ognuno faccia il suo viaggio. Però il videoclip aiuta ad entrare più da vicino nella visione del compositore, l’idea è sempre ispirata alla genesi del brano.
“Inwards” Tour
8 OTTOBRE – SALSOMAGGIORE – TEATRO NUOVO (data zero)
9 OTTOBRE – MILANO – TEATRO DEI FILODRAMMATICI
25 OTTOBRE – RIMINI – TEATRO GALLI
27 OTTOBRE – BOLOGNA – TEATRO DUSE
date in aggiornamento