– di Assunta Urbano –
«Realizzare la colonna sonora di un film ancora non scritto»
Questa l’esigenza che ha portato alla nascita del progetto multidisciplinare partenopeo FANALI. Il trio è formato da Michele De Finis, Jonathan Maurano e Caterina Bianco, musicisti con esperienze significative alle spalle, come Blindur, EPO e Sula Ventrebianco.
Il gruppo prende parte a numerosi lavori artistici, tra cui sonorizzazioni di lungometraggi, portando il live looping sempre oltre il limite.
Lo scorso 21 maggio viene pubblicato il singolo d’esordio per Soundinside Records, “Anche”, che preannuncia l’uscita del primo LP, “Shidoro modoro”, di oggi 7 ottobre. Questo titolo sta a indicare l’alterazione del modo di esprimersi attraverso le parole quando si è nervosi o ubriachi.
Abbiamo fatto qualche domanda al polistrumentista Michele De Finis, che ci ha raccontato di più del suo universo musicale.
Esce oggi, venerdì 7 ottobre, “Shidoro modoro”, ci racconti come nasce questo progetto?
FANALI era in un primo momento un duo di impronta radicale. Con l’arrivo di Caterina Bianco (violino, synth, voce) abbiamo cominciato in modo naturale a sperimentare la convivenza di un suono più morbido con “gli eccessi” della fase precedente.
L’ambizione è stata quasi da subito comporre musica per immagini. Da qui, la collaborazione con l’artista visuale Sabrina Cirillo, “gli occhi di FANALI”, che si occupa di tutto il nostro output visivo (foto/video). A quel punto, consolidare il risultato della musica che avevamo in un disco ci è sembrato quasi ovvio.
Poi è arrivata la pandemia, e tutto quel che ben conosciamo. “Shidoro modoro” ha dovuto quindi attendere due anni per vedere la luce, ed eccoci qua.
Ogni brano ha come titolo una sola parola e mettendo insieme i vocaboli sembra ci sia un legame tra loro. Qual è il fil rouge che li unisce e che accompagna l’intero lavoro?
Ci piacciono molto “le cose che sembrano altre cose”. Del resto in inglese il verbo to play traduce sia suonare che giocare. Abbiamo cercato parole brevi che potessero avere più significati, anche in altre lingue.
“Shidoro modoro” è un vero e proprio viaggio sonoro. Pensando a “Dove”, in cui si parla di trasloco, quanto hanno influenzato questo disco le vostre radici e quanto le origini hanno cambiato il vostro modo di fare musica?
Il suono di FANALI è davvero, letteralmente, “la somma di cose che amiamo”, delle influenze di tutti noi, che abbiamo background molto eterogenei. Siamo anche avidi ascoltatori di musica, il che finisce per condizionarci in direzioni ulteriormente diverse.
Questo è il motivo per cui puoi sentire nel disco echi afrobeat così come post rock, dilatazione, melodia, quel tocco di classica o chissà cos’altro, non ci poniamo limiti di sorta. Ci sembra che il risultato finale abbia comunque coerenza nel nostro suono, nel linguaggio che usiamo per tradurre queste influenze variegate.
L’album è ricco di collaborazioni, sia musicali che visive. Cosa vi ha spinto a rendere questo lavoro “collettivo”?
Nulla di troppo “pensato”. In “Dove” ci sarebbe piaciuto il suono dei fiati, per fortuna il nostro amico Pietro Santangelo (Nu Genea, Slivovitz, PS5) è un sassofonista incredibile, non potevamo che chiedere a lui. È incredibile quello che ha immaginato per “Dove” dalla semplice indicazione: «Ci sentiamo una trama di sassofoni».
Poi c’è Salvio Vassallo (Il tesoro di San Gennaro, Spaccanapoli) che ha missato e masterizzato il disco, oltre che “ripensato” le nostre tracce alla sua maniera. Da quelli come loro c’è tanto da imparare sempre e per fortuna sono amici nostri.
In che modo il vostro universo musicale si lega al mondo cinematografico?
Al momento in nessun modo, ma è una nostra aspirazione. Come dicevamo, crediamo che il nostro suono possa adattarsi alla perfezione ad un lavoro cinematografico.
FANALI nasce con lo scopo di realizzare «la colonna sonora di un film ancora non scritto». C’è una pellicola del passato, che sia o meno un cult, per cui avreste voluto realizzare le musiche? Invece, pensando al futuro, come lo immaginate il film, per ora inesistente, per cui creare la soundtrack originale?
In realtà il gioco di parole si riferisce al fatto che di solito le musiche vengono realizzate a film già girato. Qui invece siamo partiti dalla musica, ma chissà che qualche regista un giorno non possa a sua volta venirne ispirato.
Avete realizzato una vostra versione di “Heroin”, pezzo storico dei Velvet Underground con Nico. Cosa rappresenta per voi questo brano e che tipo di impatto hanno avuto la band e il loro esordio discografico nelle vostre vite?
Il brano è stata la prima cosa che abbiamo scelto di pubblicare, in concomitanza con una rassegna a cui abbiamo partecipato, Waiting for the Man, dedicata a Lou Reed.
Davide De Blasio, il suo patron, è un suo amico storico, i Velvet Underground uno dei gruppi fondamentali nella formazione di tutti noi, “Heroin” forse tra le vette più alte raggiunte da quella band. È stata un’emozione incredibile sottoporre la nostra versione del classico dei VU a Laurie Anderson in persona per chiederne (e ottenere!) l’approvazione.