– di Giovanni Flamini.
ph. Fabrizio Fenucci –
La messa in discussione del sistema capitalistico, oggi, nel 2019 globalista e globalizzato, deve passare per forza di cose dal pop. Una coincidenza quanto mai paradossale, dato che nell’ultimo secolo e mezzo il pop stesso è stato lo strumento principe dell’uniformazione delle coscienze a disposizione del capitale. Ma come direbbe ogni homo novus della politica, il sistema va cambiato dall’interno. Sempre e comunque. E questo gli Eugenio In Via Di Gioia l’hanno capito benissimo, pubblicando un album ecologista nell’epoca in cui Trump nega il riscaldamento globale e Greta Thunberg viene additata come una rompiballe. Un album che prende le armi più affilate del pop (le melodie accattivanti, le armonizzazioni vocali) per ritorcergliele contro e dichiarare guerra al dabbenismo, al nazional-popolare, all’assenza di contenuti. Qui si parla di dio denaro, di giovani precari e di tante altre cose senza cercare di essere accondiscendenti, ma con una rabbia gioiosa, quasi hippie, che vuole mostrare lati della nostra società che facciamo finta di non vedere ma in cui siamo immersi fino al collo. Altro che il solito disagismo indie, insomma. La produzione come al solito è ottima. L’unica pecca, semmai, sta nel fatto che quest’album cristallizza la forma-canzone degli Eugenio, senza la voglia di esplorare strade radicalmente nuove. Ma di tempo per perdersi “altrove”, gli eugenii ne hanno a bizzeffe. Per ora ci godiamo queste piccole perle di “guerrilla pop” e ci facciamo un esame di coscienza. Che forse è ora di farsene uno.
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