Commentare una simile opera non è impresa facile. Si intitola “Verso sera” e probabilmente la troviamo solo in forma liquida digitale sui più noti canali, quelli ormai deputati alla divulgazione musicale di oggi. E probabilmente, a parer mio, avrei trovato una coerenza maggiore se fosse stata stampato solo in vinile, avendo una violenta presunzione di chiedere tempo e ascolto a chi decida di farlo. Ettore Filippi lo conosciamo dalle linee portanti degli RSU. Ma questo è il suo primo lavoro personale dove mescola con garbo e alto gusto, la psichedelia acida di visioni poetiche anche descritte da questa voce che poco si piega alle forme tradizionali della canzone. E alla sua evanescenza c’è l’appiglio concreto, all’ascolto contemplativo di un’opera c’è anche la leggerezza di un dialogo che non vuole abbandonarci a noi stessi. Non si perde l’orientamento ascoltando “Verso sera” né tantomeno siamo di fronte ad una sfacciata quanto sterile ginnastica del suono trasgressivo che poco si cura della comprensione altrui. “Verso sera” va ascoltato senza etichette, pregiudizi e riferimenti da professori saccenti. “Verso sera” è libertà di suono e di espressione.
Un suono evocativo e delle liriche visionarie. Mai per una volta credo abbia senso una delle più inflazionate domande di sempre. Prima il testo o prima la musica per queste nuove scritture?
In tutti i miei pezzi la costruzione musicale precede quella letteraria. Poi, il testo nasce a volte spontaneamente come suggestione alle sensazioni che la musica mi rimanda o, per usare una tua espressione, evoca. Altre volte invece adatto pensieri, aforismi, appunti scritti precedentemente, in cui trovo una relazione che potremmo definire emotiva, col contesto musicale. Bisogna altrettanto ammettere però che la parola, una volta entrata in relazione col resto del materiale musicale, manifesta sempre una forza e una perentorietà che tendono a smuovere gli equilibri e a suggerire alternative sonore, soprattutto in termini timbrici e dinamici.
L’ispirazione di questi brani da dove nasce? Sono immagini, sono suoni, sono frasi, sono esperienze vissute… Da cosa sei partito?
Come per la quasi totalità dei pezzi di questa mia fase musicale (differentemente dalle composizioni degli anni scorsi, pensate in una foggia diciamo più classica) il materiale musicale nasce da improvvisazioni al pianoforte, con o senza linea vocale. Di solito mi è chiaro da subito anche il suono in generale. Ad esempio, per questo lavoro, ho elaborato il materiale iniziale realizzando un provino con i suoni delle librerie comunemente in uso. Solo in un secondo tempo, abbiamo registrato il disco, lasciando a volte libertà espressiva al musicista, altre dando indicazioni più restrittive, se non obbligate, rielaborando il tutto in un secondo tempo. Ti dirò che non mi dispiacerebbe più in là affrontare questo aspetto, arrangiando il pezzo da subito in un contesto di gruppo, lasciando così più autonomia agli strumentisti. Ma rimane come condizione necessaria il partire da un momento fortemente emotivo come l’input dell’idea primigenia.
Questa copertina è bellissima. Posso dirti che somiglia al suono che ha il disco? Mi viene da sentire tanto nichilismo concettuale sulla pelle. Non so se può piacerti come sensazione legata all’ascolto…
La copertina è opera di un interessante artista della mia città, Marco Ricci – Douglas Fir – un bravissimo grafico, ma anche un eccellente musicista, produttore e film-maker. Ha ascoltato l’album e il giorno seguente mi ha proposto 3-4 cover, tutte bellissime.
Per quanto riguarda la sensazione di un certo “nichilismo concettuale” trovo che in parte possa essere accolta. Preciso che le intenzioni progettuali sono state dettate da un’estrema volontà di agire in maniera istintiva e reattiva di fronte al dato puramente sonoro. Ciononostante credo che il lavoro sugli arrangiamenti, sull’elaborazione delle idee promosse dagli interventi dei vari musicisti, abbia anche risentito di un atteggiamento diciamo più “freddo”, più legato alle mie esperienze nel campo della musica contemporanea.
Sei cosciente di quanta società hai tirato fuori dall’ascolto di questo disco? Oggi che siamo tutti sufficientemente omologati anche nella fruizione di musica…
Se intendi dire che questo disco non possa essere ascoltato da tutti, può essere anche vero, ma non perché siano posti particolari filtri culturali o concettuali, ma solo perché esso ha bisogno di un’attenzione probabilmente maggiore rispetto a lavori dove melodia e ritmo sono più espliciti. È un lavoro che necessita del suo spazio. Ci si deve mettere seduti, tranquilli, e dedicargli un po’ del proprio tempo. Poi può piacere o meno, ma questo è un altro discorso.
Le voci di questo disco, e per voci parlo di suoni e di strumenti soprattutto. Cosa hai cercato? Hai trovato quel che sentivi dentro?
Guarda, questa domanda delle voci mi sorprende non poco, perché credo che vada veramente al nocciolo della questione nel mio modo di intendere questo lavoro. Un contrappunto di suoni-attori in relazione fra loro. Ed è proprio nella relazione fra queste voci, principali o meno, in primo piano o destinate solo a definire il fondale in lontananza che si sviluppa il racconto musicale, ancor prima che letterario.
A chiudere: un video ufficiale? È in previsione?
Essendo un lavoro autoprodotto, è mancato il budget per un video promozionale. Tuttavia ti dirò che non ho mai pensato ad un video per questi pezzi. E laddove il video venga inteso come medium efficace per la promozione del disco credo che, nella fattispecie del mio lavoro, questo non avrebbe inciso in maniera determinante alla sua visibilità. Qui spenderei due parole anche sull’efficacia del video e sulla sua capacità di amplificare il messaggio artistico. A parer mio, credo che risulti maggiormente creativo, con questo tipo di lavori, chiudere gli occhi e lasciar scorrere le immagini che la musica può suggerire.