– di Giuseppe Zibella –
Il nuovo album di Diego Esposito, o semplicemente Esposito, è un pregevole lavoro di pop d’autore calibrato in ogni sua piccola parte. Il secondo atto discografico resta un’ardua sfida per un artista, una scelta difficile tra il voler fissare uno stile riconoscibile e l’esplorare fin da subito.
In Biciclette Rubate il cantautore toscano riesce a far convergere le due cose, utilizzando il suo peculiare tratto di penna al quale affianca un comparto sonoro ricco e massiccio. Il risultato è presto riscontrabile nei secondi iniziali di Bollani, traccia d’apertura, dove la commistione strumentale fa da ingresso al graffio vocale di Diego che racconta di un viaggio a Sud mentre cita il noto pianista.
Da qui il salto nel pop leggero e catchy di Voglio Stare Con Te, nella sua dinamica accattivante che, una volta domata, fa ricadere l’ascoltatore nel cantautorato crepuscolare della title track. Tutto il disco muove e anzi vive di questi sbalzi repentini, di accelerazioni alternate a brusche frenate, che provocano disorientamento e smarrimento. Lo stesso smarrimento che Esposito traduce in parole, come le bici abbandonate e poi riprese, senza la certezza di un approdo ultimo.
E poi c’è il destino che si crea lungo il tragitto della vita, quello non deciso in origine da qualcuno o qualcosa, rappresentato a perfezione nella fotografica La Casa Di Margot. Le ritmiche acustiche onnipresenti, anche nelle tracce più votate all’elettronica, sono la catena che gira in moto perpetuo nel veicolo a due ruote, non inceppandosi mai.
Insomma, Biciclette Rubate è un binomio sensazionale e musicale, è l’euforia quasi dancefloor di Diego e la nudità affidata al piano voce di Le Viole. Una stoffa double face.