Alberto Paderni e Antonio Pagano sono due delle anime portanti che vivono dietro il disco d’esordio di un cantautore interessante anche e soprattutto per il mix di suoni e di estetica che è riuscito a raggiungere per vestire queste prime canzoni destinate a rappresentare un punto di arrivo ed uno di partenza. Parliamo del romano Francesco Botti, in arte ESC, che pubblica questo lavoro dal titolo “Argonauta” in cui l’allegoria si veste di quotidiana popolarità, dove appunto il pop diviene anche digitale per abbracciare, senza soluzioni scontate, il popolo e la storia di tutti noi, di tutti i giorni. Un disco che sottolineiamo con piacere, in bilico tra la semplicità allegorica e quel gusto per i dettagli per i palati fini.
Un disco “Numero 0”… eppure è un lavoro che arriva dopo tanti percorsi. Dunque è un punto di arrivo o di partenza?
È entrambe le cose, immagino come ogni disco in fondo. È un punto di arrivo importante, perché ho scritto queste canzoni praticamente di getto dopo un percorso di tentativi durato anni, durante i quali a volte ho pensato che non avrei mai realizzato un mio disco. È un punto di partenza perché ho imparato moltissimo da tutta l’esperienza e perché realizzarlo ha sbloccato nuove prospettive.
Ci ha colpito molto il mix della voce. Secca ed evidente e c’è anche altro che non so spiegare… sbaglio?
Non c’è stata una decisione generale a riguardo. Si è trattato singolarmente ogni pezzo, iniziando ad esplorare varie possibilità, e spesso è venuto naturale dare un suono nitido alla voce per mettere in risalto i testi. In studio poi ci siamo divertiti ad armonizzare con i cori, spesso trattandoli fino a spostarli da una dimensione vocale ad una più strumentale.
Un linguaggio pop, in bilico tra realtà e suoni digitali, seguendo stilemi indie ben conosciuti. Eppure il tuo background è anche fatto da tantissimo altro ancora. Come sei arrivato a tutto questo?
Ho sempre voluto scrivere e cantare mie canzoni in italiano, parlando di cose che avessero un peso ma facendolo in maniera leggera. Musicalmente mi sento molto vicino alle atmosfere acustiche, ma allo stesso tempo ho sempre ascoltato e amato vari generi di musica elettronica. Lavorare a questo primo disco ha significato cercare di far dialogare queste componenti.
“Argonauta” è un titolo dal peso umano (e privato se mi permetti) assai marcato. Cosa rappresenta di preciso? La trovo una bella fotografia di un percorso dentro tante cose.
Sicuramente questa fotografia c’è, anche in copertina. Nel mio percorso finora ho fatto esperienze a volte molto diverse tra loro quindi una storia come quella degli argonauti mi è sembrata un buon simbolo per questo disco. Anche il viaggio alla riconquista di qualcosa di prezioso e perduto è un’idea che ho sentito vicina in tutto il percorso che ha portato al disco e che continuo a sentire nel presente.
E per chiudere, la musica “pop” per te cosa significa? Visto che questo è un disco che vuole parlare ad un pubblico numeroso…
È qualcosa di immediatamente comprensibile per le orecchie di chi la ascolta. Più che un genere musicale la vedo come un modo di comunicare, che poi si presenta sotto varie forme. Parla di piccole cose che a volte non ci si accorge nemmeno di vivere ma che tutti affrontiamo e riconosciamo chiaramente.