_ di Riccardo De Stefano.
Sembra che da una parte, nel rap game, ci siano quelli della old school e dall’altra quelli della trap, tutti pronti a scannarsi. Poi arriva Ernia e il mondo quasi si cappotta.
Perché Ernia è evidentemente più colto della media dei rapper (rimare sull’Ellesponto e su Alessandro Magno non è da tutti) e sa benissimo smarcarsi dai cliché del genere, a base di “troie” e “money”.
Forse per questo il suo 68, che nulla ha a che fare con l’anno delle proteste in piazza, suona incredibilmente piacevole e fresco, se non musicalmente, perlomeno nel suo rilanciare storie e contenuti tipici del genere (l’autobiografismo, il riscatto dalla periferia tramite il successo) senza doverci per forza convincere di essere davvero from the block.
Se King QT sembra suggerire già dal titolo l’influenza di Kendrick Lamar, di sicuro 68 non è il suo To pimp a butterfly, ma rimane uno splendido affresco personale, dove il talento di Ernia è supportato da una produzione di Marz che lo avvicina spesso al cosiddetto Graffiti Pop, rendendolo godibile anche per i non maniaci del genere.
68 è bello e importante.