– di Giacomo Daneluzzo –
Classe 2000, come chi scrive, Emma Nolde è indubbiamente una delle figure più interessanti della “nuova scena”. Lo scorso settembre la cantautrice toscana ha pubblicato per Woodworm e Polydor Records il suo album d’esordio, Toccaterra (leggi qui la nostra recensione!), anticipato dai singoli “(male)” e “Nero Ardesia”, quest’ultimo vincitore del premio Ernesto De Pascale per la miglior canzone con testo in italiano.
La intervisto per la seconda volta via Zoom (leggi qui l’intervista che le abbiamo fatto all’uscita dell’album), sperando che la prossima sarà di persona. Mi risponde vestita di nero, con sullo sfondo dei libri, una batteria e una di quelle lampade a forma di pietra appoggiata su un comodino. La parola che pronuncia più spesso, con il suo forte accento toscano, è “felice”, mi racconta dei suoi progetti e di questo percorso che ha iniziato nella “vita da cantautrice”, una strada che conosce sempre meglio e che sembra essere la sua al 100%.
Ciao Emma! Felice di rivederti. Come stai?
In realtà bene! Con il fatto che si suona oggettivamente non posso che essere felice. Grazie al cielo abbiamo un po’ di date in programma.
Sono contento! Quando passi per Milano vengo a sentirti, allora!
Dai, devi venire! È il 6 giugno, tra un pochino.
Ci sarò! Sei gasata per il tour?
Molto. Per forza! Anche perché abbiamo cambiato un sacco di cose del live.
Sono passati un bel po’ di mesi dall’uscita di Toccaterra, mesi in cui il tuo disco ha avuto, tra le altre cose, un buon successo di critica, venendo inserito tra i migliori album d’esordio e tra i migliori abum del 2020 da diverse testate. Come hai vissuto questo periodo?
Da quel punto di vista, ovviamente, bene. Il disco ha avuto riscontri positivi dalla critica, ma fortunatamente non solo dalla critica. Ci sono dischi apprezzati più dalla critica che dalle persone; a me non interessano i numeri, però ho sentito molto vicine delle persone che hanno ascoltato il disco. Sono felice di aver ricevuto messaggi non così “di passaggio”, ho sentito dei pensieri profondi. Sono felice anche del fatto che sia stato apprezzato anche dalla critica: vuoi o non vuoi è stato fatto pensandolo come qualcosa che andasse oltre determinati preconcetti, anche musicali, quindi se è stato apprezzato nonostante questo – e anzi anche per questo – bene! Sono felice anche delle persone che ci hanno creduto fin dai primi giorni in cui è uscito. Dato che i live non si sono potuti fare non mi sono più concentrata più di tanto su quel disco, ho iniziato a scrivere nuove canzoni, a fare altro.
Ho visto che hai fatto delle “sessioni brevi”, che hai caricato su YouTube, molto belle.
Sì, quello ad esempio è un progetto nato un po’ per inerzia, che porterò avanti nonostante s’inizi a suonare, perché ci ho preso gusto e per la soddisfazione di scrivere una cosa e il giorno dopo farla già uscire, è strano. Quest’estate, poi, da metà estate in poi, dovrebbe uscire qualcos’altro, che non avrà a che fare con il disco che uscirà poi, ma saranno cose “altre”, diciamo così. Comunque sia adesso sto lavorando ad altro, un po’ in studio, un po’ in casa: sto rivivendo l’essere impegnata, una cosa che per un po’ di tempo era sparita. Tra le prove del live e le giornate in studio ho meno tempo per pensare, fortunatamente – poi a volte ci sta, eh.
In effetti sei una persona che tende molto alla riflessione introspettiva, aspetto che anche Toccaterra cercava di compensare, pur valorizzandolo. Mi è tornato in mente che raccontavi che il disco è nato per parlare a delle persone a te vicine, che ti conoscono: ha funzionato?
È interessante: sì, ha funzionato. In alcuni casi ha funzionato anche prima, perché le hanno sentite prima che uscissero, e le canzoni hanno funzionato ugualmente prima che fossero pubbliche. In latri casi dopo. Hanno dato il via a delle discussioni e a dei dialoghi.
Oltre a questo obiettivo primario di iniziare dialoghi con le persone si è aperta anche una strada professionale, sei entrata nel roster di Woodworm, che quest’anno compie dieci anni: che idea hai della tua etichetta?
Woodworm parla attraverso gli artisti con cui sceglie di lavorare. Mi auguro per loro che continuino a fare questo tipo di scelte, a rischiare, a scegliere cose “difficili”. Se così fosse il loro lavoro potrebbe avere a che fare con una missione etica, sociale. Spero continuino a rischiare e a prendere scelte scomode. Lasciano molta libertà a livello artistico alle persone che scelgono di seguire e questo parte dalla scelta di far arrivare determinati progetti, che hanno bisogno di respirare, di avere libertà, di non rientrare in nessun tipo di logica più standard, anche a livello temporale, del “dover far uscire cose”. Ha tutto a che fare con le persone con cui scegli di lavorare e lroo hanno la grande forza di scegliere persone e progetti veramente di spessore – mi tolgo da questo. Quando penso a chi mi piace molto, in Italia, cinque nomi su otto sono in Woodworm. Un motivo dev’esserci.
Ho scoperto solo dopo un bel po’ di tempo che Nolde è uno pseudonimo – infatti vedo che anche come nome di Zoom hai “Emma Maestrelli”.
Emma Maestrelli era troppo “classico”, come nome. In Toscana, dove sto, ci sono tantissime famiglie che si chiamano Maestrelli, non è così originale, nella mia esperienza. Anche dopo aver registrato il disco non avevo trovato un nome, non sapevo come uscire, quindi dovevo arrivare a un punto, perché c’era bisogno di presentare il disco a varie persone, a Woodworm, e non sapere di chi fosse era un problema. C’è stato un periodo di brainstorming su come mi potevo chiamare; a una certa mi arresi perché tutte le idee non mi piacevano. In quel periodo a scuola si studiava Emil Nolde, un pittore espressionista che non c’entra niente, ma l’assonanza mi colpi, in quel periodo in cui stavo cercando questo nome. Una sera stavo tornando a casa in macchina e sentii la voce dei miei genitori che dicevano: “Eh, sì, lei è Emma Nolde, è una musicista” e alla fine il nome te lo danno i genitori, quindi mi sono detta: “Dai, sì, Emma Nolde ci sta”.
Tra l’altro sto leggendo ora che “Nolde” è uno pseudonimo anche nel caso di “Emil Nolde”, viene dalla sua città natale, in Danimarca.
È vero, giusto! Comunque il motivo principale è il significante di “Nolde”; penso che suoni veramente “giusto” rispetto a quello che faccio, il suono mi ricorda molto quello che faccio.
Prima o poi devi andarci a Nolde, in Danimarca!
Sì, è vero! Farò qualcosa: “Emma Nolde a Nolde”.
Bellissimo. Ho visto che hai fatto un po’ di collaborazioni, tra cui Alessandro Baris, Luca P e due volte con i bnkr44. Com’è stato registrare con altri artisti, collaborare, cosa ti è rimasto di queste esperienze?
Mi sono rimaste cose belle, perché sono nate tutte in modo spontaneo. Sono persone che mi sono vicine, a livello personale e geografico. Sono felice di aver fatto queste collaborazioni, perché sono esperienze di vita che adesso pubblichiamo, ma che di base abbiamo sempre fatto. Con i ragazzi del bunker (bnkr44, ndr) ormai ci vogliamo bene a vicenda, quando è possibile cerchiamo sempre di fare cose insieme, di coinvolgerci, perché siamo vicini: loro stanno a dieci minuti da casa mia ed è l’unica realtà che c’è qui vicino che sta riuscendo a imporsi, quindi ci diamo una mano a vicenda. La cosa figa è che siamo molto diversi, a livello di approccio. Io sono molto da strumenti veri, roba analogica. Poi con Alessandro e Luca siamo amici. Mi piace fare le cose in questo modo. In futuro magari usciranno collaborazioni con nmi che conoscono più persone, ma se sarà così sarà perché c’è un rapporto non solo di stima artistica ma anche personale, che nasce prima della collaborazione. Tengo più a questo che al far uscire collaborazioni “d’effetto”.
Ricordo che mi avevi parlato di un rapporto molto stretto con lo strumento. Mi dicevi: “Mi sento più musicista che cantante”; è ancora così?
Sì, ma sono una cantautrice. Fare la musicista o fare la cantante non è uguale a scrivere canzoni. “Cantautrice” è la cosa che mi sento di più.
Hai ancora paura che lo studio faccia venire meno la parte creativa o l’hai risolta?
Ho ancora paura, ma continuo a studiare. Mi auguro di continuare a farlo sempre: magari è l’approccio con cui lo fai che determina quanto ti costringe e quanto puoi usarlo come mezzo.
Tra prove per il live, uscite di quest’estate, un album in seguito, mi sembra che però la parte creativa non sia affatto “in pausa”.
No, infatti, quello no. Anche perché poi, avendo deciso di fare questo, è fondamentale; per me continuare continuare a fare cose è una responsabilità: restare concentrata e anche quando non ho voglia cercare di farlo lo stesso. Penso che avere costanza sia la chiave per queste cose, anche se l’ispirazione non è costante.
C’è chi tutti i giorni si mette lì e scrive e chi quando arriva l’ispirazione la coglie.
Io sono un po’ nel mezzo.
Da quando ho conosciuto Emma Nolde, a settembre, mi sembra più grande, più consapevole, più attenta e anche più serena. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il 6 giugno, primo live del suo tour estivo, che sarà in queste date:
- 6 giugno, Milano – Mi Manchi c/o Circolo Magnolia
- 9 giugno, Bologna – Covo Summer 2021
- 4 luglio, Pisa – TBA
- 9 luglio, Montespertoli (FI) – RockUnMonte
- 29 luglio, Ome (BS) – Diluvio Festival
- 11 agosto, Rivello (PZ) – Polifoníe Music Festival
- 13 agosto, Maida (CZ) – Color Fest
- 16 agosto, Messina – Retronouveau (Terrazza)
- 18 agosto, Locorotondo (BA) – Locus Festival
- 27 agosto, Corigliano d’Otranto (LE) – SEI Festival
- 11 settembre, Acquaviva (SI) – Live Rock Festival
- 30 settembre, Torino – Hiroshima Sound Garden