– di Naomi Roccamo –
Decido di intervistare Elasi senza pensare troppo alle domande da porle, lasciandomi trasportare dalla sua energia musicale e dalla spontaneità che lei stessa lascia trasparire.
Leggo i testi di Campi Elasi, l’album uscito il 28 ottobre per Neverending Mina con distribuzione Artist First, prima di ascoltarne i brani, presa dalla curiosità, ma mi rendo conto subito che si tratta di uno di quei progetti in cui la base crea un mondo a parte, apre degli scenari che rendono giustizia alle parole e le inseriscono nel loro contesto, creando un intreccio imprescindibile.
Elasi ha 27 anni e alle spalle anni di studio al Conservatorio di Alessandria, la sua città natale, ma anche una formazione avvenuta in Olanda, a Roma e a Los Angeles, dove ha studiato produzione musicale; in Campi Elasi non ci sono solamente la sua voce e i suoi testi, parte dei beat vengono proprio dalla sua testa.
Ciao! ESPLODIGODI è il tuo ultimo singolo ma è anche la prima tua canzone che ho ascoltato e, lo dico, sono rimasta impressionata dal beat! C’è, in effetti, qualcosa di necessario per te nelle base? Dopotutto lo dice la parola stessa, è “la base”.
Guarda, quel pezzo nasce proprio dalla base! Una sera stavo giocando su Logic e ho scritto quel riff iniziale. Poi da lì ho provato a cantarci sopra, mi è venuta spontanea la frase iniziale ed è stato un flusso bellissimo, mega libero, è raro che capiti così. Magari in altri casi inizio, temporeggio, poi ci ripenso. Invece in ESPLODIGODI l’idea del sound era quella ed è rimasta tale. Però, magari, non è il classico brano radiofonico, quindi ogni volta che qualcuno mi dice che è rimasto colpito da quello mi stupisco, penso “cavolo, sono felice che sia arrivato alle persone!”.
Come nascono i tuoi testi? Ci sono dei momenti specifici o è tutto molto casuale?
Ogni “frasettina” magari viene dai miei appunti, tipo vado a fare la spesa o nei posti più improbabili e me le appunto. Oppure mentre suono mi sovvengono. Musica e testo insieme.
Mi ha ricordato, anche concettualmente, Giubbottino di Margherita Vicario, non so se te lo hanno già fatto notare. C’è un legame artistico con lei? È un’artista che apprezzi?
Ah no, non me lo ha mai detto nessuno prima e non ci avevo pensato! A me lei piace molto sia artisticamente che umanamente. Quando ho scritto ESPLODIGODI non erano ancora uscita Giubbottino quindi non posso dire di esserne stata ispirata, direi che è un caso! Mi piace molto questa associazione però. Noi abbiamo suonato insieme di recente a Modena, quindi anche spontaneamente ci hanno già unite nel live. Lei per me è una grande!
Hai viaggiato molto prima di partorire Campi Elasi. Diciamo che è un meltinpot di culture ed esperienze. Dove vivi adesso e in che modo ogni posto ti ha ispirata?
Purtroppo quest’anno non ho potuto viaggiare come avrei voluto fare. Ho avuto la fortuna di andare a gennaio a Cuba, prima del lockdown, adesso vivo a Milano ma continuo a spostarmi tanto, però vivere in varie città mi ha permesso di aprire molto la mente ed essere sempre curiosa, scoprire i segreti di ogni luogo, più vivendoci che viaggiandoci e basta. Campi Elasi è un insieme degli ultimi quattro anni, Souvenir e Supererrore sono i più recenti, scritti alla fine dell’anno scorso, ma si tratta davvero dell’unione di tanti posti, dell’averne assorbito le caratteristiche.
Trovo Souvenir un modo eclettico per parlare di un rapporto che non riesce bene a definirsi, che rimane nel grigio senza diventare bianco o nero. Adoro il fatto che mentre nomini le varie città il ritmo stia al passo, quasi sottolineando che ci stiamo spostando da un posto all’altro e quindi sì, anche la musica cambia. Qual è la storia dietro? Sicuramente una storia meno importante di Sentimentale Anarchia; lì descrivi perfettamente il vuoto insistente post relazione e fai ballare in contemporanea, chapeau!
Sì, musicalmente è proprio così! Ti dico la verità: Souvenir è un misto fra una storia vera e una inventata, è un mix di storie. Ha anche una sorta di freestyle rap, perché per la prima volta ho usato il beat di un produttore master, che, appunto, lavora tanto con i rapper. Io ci ho improvvisato sopra, ci abbiamo lavorato e abbiamo spostato quel mondo un po’ più vicino al mio.
Sentimentale Anarchia, invece, è proprio il vuoto post relazione, hai detto bene. L’ho scritta mentre piangevo e suonavo la chitarra. Melodia dopo melodia mi sono tirata su, perché vedevo che musica e testo camminavano insieme. Proprio il comporre la canzone mi ha curata. Ecco perchè il disco si chiama Campi Elasi, rappresenta la mia rinascita.
Volevo proprio chiederti se si trattasse solo di un gioco di parole (come nel caso di Elasi ed Elisa, il tuo vero nome) fra Elisi o Elasi o se questi Campi Elasi rappresentassero un luogo, come nel caso dei Campi Elisi (dove dimoravano le anime amate dagli dei, secondo la mitologia greca e romana, ndr).
Sono stati proprio il mio luogo di nascita dopo la mia piccola morte interiore: delusioni, cambiamenti forti, momenti in cui ti sostieni da sola. Sempre trovato la soluzione per non essere da sola, mi son creata una famiglia praticamente in ogni città, però ci sono quei momenti in cui inevitabilmente ti ci senti perché non hai un punto fisso. Poi le persone vanno e vengono, quindi ti devi bastare.
Campi Elasi, infatti, è il frutto della collaborazione anche da remoto con artisti provenienti da tutto il mondo. Come nasce una canzone a distanza? Sono persone che hai conosciuto precedentemente?
Il progetto di Campi Elasi è proprio nato, in realtà, per partecipare a un bando per artisti molto giovani che prevedeva la collaborazione fra musicisti di culture molto lontane fra loro, ecco perché ho coinvolto personalità indiane, brasiliane, africane e di altri paesi. Abbiamo lavorato via Skype, via chat e in tutti modi possibili per creare musica a distanza [ride, ndr], difficoltà di lingua, fuso orario e connessione annesse. È stato un processo molto complesso sia il lavoro, per questioni che riguardavano la visione stessa della musica, sia la ricerca dei collaboratori, avvenuta un po’ tramite passaparola coi miei amici sparsi per il mondo, un po’ via social, un po’ via mail, quando magari trovavo degli artisti interessanti su Youtube.
Tu dai un po’ l’impressione di aver trovato una tua dimensione con la musica, anche caotica ma comunque sotto controllo, «fra supererrori» e «supereroi», appunto. Anche in VALANGHE dici una frase molto significativa e cioè «Che male c’è se nel fuoripista di una vita in discesa diventiamo valanghe?», un po’ come a dire che si va freneticamente, ma necessariamente si va!
Brava, è proprio così! [ride, ndr]. Ma non ce l’ho un equilibrio! Lo cerco in questi Campi Elasi, ma nella quotidianità è difficile mettere in pratica. Ovviamente penso davvero tutto quello che ho scritto, cose che quando rileggo mi fanno sentire bene, idem quando le ascolto. Non sono ancora una Siddharta, però spero di raggiungere un equilibrio, anche se alla nostra età è difficile!
Il video di VALANGHE è coloratissimo. L’idea è completamente tua o ti sei affidata ad altri?
A me, vedendo i lavori precedenti, ha sempre fatto impazzire l’estetica dei ragazzi di Mysto Studio, con cui poi ho realizzato il videoclip. Volevo creare un prolungamento della mia musica, mi serviva un’immagine simile a quella che avevo in testa e loro l’hanno resa benissimo.
Il tempo è scaduto ma ti faccio l’ultima domanda, che mi piace sempre fare: artisti che ti piacciono e/o ti hanno ispirata?
Troppi, troppi. Quando ero piccola ascoltavo il punk, poi la svolta dal punk al funk, roba alla Kool & The Gang. Poi ci sono gli artisti che uniscono l’arte contemporanea alla musica tipo Massive Attack, St. Vincent, FKA twigs, artisti africani che nemmeno ti dico…
Sapevo ci fosse lo zampino di FKA twigs!
Sì, ma io sono incostante in tutto, anche nelle cose che ascolto! Loro di sicuro sono icone fondamentali.
Allora speriamo di vederci live, come si spera sempre di questi tempi.
Lo spero tantissimo, ce la faremo in qualche modo!