I bolognesi Earthset arrivano al debutto discografico con un’opera multiforme, intrigante e di difficile collocazione. Sorprende scoprire che la band si riconosca nella semplicistica definizione grunge, quando ciò che si offre al pubblico in In a State of Altered Unconsiousness è più simile ad un esperimento anarchico di distruzione delle barriere tra i generi che alla riproposizione di uno stile già compiuto e, conseguentemente, canonizzato e immobile.
La musica degli Earthset si colloca al contrario nella dinamicità, che è il motore principale del carattere sperimentale di questo primo album. Viaggia tra diverse declinazioni del rock, e si nutre tanto della psichedelia degli anni ‘70 (Skizofonìa suona come una dichiarazione d’amore ai Pink Floyd) quanto delle suggestioni più inquiete e irrisolte degli anni ’90, sublimate tramite un approccio destrutturante (questo sì, senza ombra di dubbio grunge) in un sound assolutamente presente.
A ogni modo le influenze stesse del gruppo sembrano non potersi ridurre a una classificazione così scarna: The Absence Theory è animata dallo spirito di un certo glam rock decadente, rEvolution of the Species è il post-punk di un mondo altro in cui il genere si è sviluppato in modo totalmente diverso dal nostro, le strofe di So What?! sono costruite con un senso ritmico da rock’n’roll primitivo, quasi blues.
In questa molteplicità di direzioni è interessante notare che esiste un collegamento limpidissimo tra tutte le tracce, fondato su una tensione alla dissonanza, le sonorità acide e irrequiete e uno stile vocale ben definito seppur duttilissimo. Tutto ciò restando fedeli a quella che è concettualmente la base dell’album, ovvero lo straniamento e l’esperienza dell’alterità, che è resa alla perfezione dai cambi di registro continui. Anzi, si può dire che ciò che gli Earthset hanno creato ha davvero le caratteristiche di una trattazione sugli stati alterati in cui il nostro io si può trovare, riuscendo nell’ardua impresa di costruire musica che abbia dei concetti dietro senza cadere nel concettualismo. Quando i concetti in questione vengono incarnati in una forma peraltro così godibile non ci sono dubbi: stiamo parlando di buona musica.
Nicolò Turchetti