Che la vita ci porta davanti una innumerevole distesa di donazioni gratuite. Occasioni… che poi siamo capaci di cogliere? Certamente nel punk di Disagio è rintracciabile una leggera venatura di rimorso e nostalgia ma la carica è quella giusta per tirare avanti e non dimenticarsi ma del presente. Ci piace questo eterno rincorrere il momento attuale, ed è consuetudine dimenticarci una simile concentrazione… offusca la mente, i contorni, le destinazioni e gli obiettivi. Ed è così che ci piace leggere anche il video ufficiale diretto da Omar Zulle e Francesco Nunziante. “A Caval Donato” è il nuovo singolo di Donato Ciao in arte Disagio che segue un pop estivo come “Spiaggia libera” che sinceramente sembra provenire da ben altra penna e intenzione. E se tutto questo apre la strada al nuovo disco, allora siamo assai curiosi di capire quale mistura ci troveremo davanti.
Un nuovo brano per Disagio. Posso dirti che il suono rispecchia molto il moniker che ti porti dietro?
Sono felice che tu abbia evidenziato questo aspetto a bruciapelo. “A caval donato” è il secondo singolo che anticipa l’uscita del disco prevista la prossima primavera. Tutti i brani parlano di vita vissuta, di drammi personali, di famiglia, di sogni e sconfitte, con una narrativa che sottende la mia personale critica al vivere contemporaneo. L’idea alla base del progetto è molto semplice: il disagio è una di quelle sensazioni che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita e che probabilmente non si è mai pronti ad affrontare. L’unica cosa che si può fare è reggere il colpo. Il disagio, però, ha un grande potere generativo: è la miccia che si consuma fino a poco prima dell’esplosione. Può diventare rabbia, disordine e frustrazione, oppure forza, tenacia e motivazione. Sono felice perché tutto quello che stiamo tirando fuori rispecchia perfettamente la mia idea di performance e, in generale, sono molto soddisfatto del risultato perché ogni traccia audio, videoclip e contenuto digitale è totalmente autoprodotto. Questo mi permette di mettere in gioco prima di tutto me stesso.
Bellissimo il video ufficiale: il velo che copre i contorni lo trovo di una potenza narrativa importante. Sono anche maschere sociali?
Il velo gioca un ruolo primario nel videoclip. I ruoli e le maschere sociali che ognuno di noi interpreta e indossa spesso ci limitano nel mostrarci a “nudo” per quello che siamo realmente. Abbiamo paura di come il nostro essere possa modellare la percezione che la società ha di noi. Viviamo in una epoca in cui il fallimento ha un’accezione esclusivamente negativa e questo ci porta a non accettare la possibilità di sbagliare affrontando le conseguenze in modo critico e costruttivo. Nel percorso formativo e professionale l’unica cosa che conta per la società è la performance e la perfezione assoluta. Il mix di tutto questo è davvero letale! C’è un grosso limite nell’affermazione della propria personalità e nell’espressione del proprio potenziale. Per la realizzazione del videoclip siamo partiti dall’assunto che la vita è un corridoio lungo e insidioso, un cantiere in continua costruzione, un perenne alternarsi tra luce e buio. Il confine tra la gioia e il dolore è così sottile da essere impercettibile, proprio come un velo trasparente, che ci permette di guardare oltre e ci avvolge, offuscando la vista e impedendoci di andare veloci. “Sei quello che fai, non quello che dici che farai” direbbe Jung.
E a proposito di maschere sociali: alla fin dei conti, sono utili o sono dannose?
Bella domanda! Credo sia solo una questione di equilibri e che dipenda tutto da quanto siamo disposti a metterci in gioco. Il segreto della felicità è accettarsi, senza paura. Io ho una visione “ecologica” di tutto questo. Nel senso che il nostro essere è il risultato di come interagiamo con il contesto che viviamo e di come, allo stesso tempo, interagiamo con gli altri individui nello stesso contesto. C’è una complessità davvero notevole. Credo che le maschere sociali siano accettabili se indossate con consapevolezza. Diventano tossiche quando rappresentano esclusivamente la proiezione di come gli altri vorrebbero vederci.
Parliamo del suono: pochi riferimenti al futuro e anche al presente. Un brano che sembra provenire dal passato inglese… sbaglio?
Il futuro cos’è se non lo specchio del passato? Il driver principale dell’innovazione è la capacità di reinterpretare e rimodellare gli insegnamenti del passato. Posso dirti che quando siamo entrati in studio con la band abbiamo lavorato molto alla ricerca delle referenze per ottenere un sound che fosse innanzitutto identitario e allo stesso tempo non convenzionale per i tempi amari che corrono. Sicuramente c’è un forte richiamo all’immaginario e alle sonorità garage punk inglesi. Al netto di gusti, trend e preferenze personali, il risultato ottenuto si discosta, indubbiamente, dai canoni della produzione musicale contemporanea, spesso dettati da dinamiche tossiche per gli artisti indipendenti.
Eppure da “Spiaggia Libera” sembra esserci passato un mare di cambiamenti. Sembrano quasi brani di due artisti diversi… come te lo spieghi? Se sei d’accordo sempre…
Grazie per la domanda scomoda! Indubbiamente “Spiaggia Libera” e “A caval donato” sono due brani con una cifra stilistica diversa, ma con un’anima comune. Come me lo spiego? Innanzitutto c’è da considerare il fatto che i brani sono stati scritti a distanza di 4 anni l’uno dall’altro. Ho trascorso 10 anni di totale distacco dalla scena musicale indipendente e quando sono tornato a scrivere e fare musica mi sono reso conto che tante cose erano cambiate. Ho trovato la provincia totalmente disintegrata. Il sudore, l’odore della sala prove e il contatto con il pubblico dal vivo hanno lasciato spazio all’isolamento e all’individualità. Questo cambiamento ha portato con sé nuovi trend e nuove dinamiche di fruizione della musica. Oggi è tutto più veloce, quasi usa e getta. Il secondo aspetto da considerare riguarda la creatività in sé. Credo che dare limiti al processo creativo vada contro il concetto stesso di creatività. La vera sfida per ogni artista sta nel creare un’immaginario coerente con la propria personalità e allo stesso tempo funzionale alla ricezione del messaggio da parte di chi fruisce dell’opera. Con “Disagio” ho trovato nuovi stimoli e nuova energia e mi diverto nel vestire un po’ i panni di direttore artistico di un progetto fluido, in continua evoluzione, che mi piacerebbe sviluppare anche oltre i confini dell’universo musicale. Grazie al prezioso contributo dei miei compagni di viaggio (Vincenzo Marzullo – Giovanni “Joe Mitraglia” Gonnella – Federico Palladino) ho trovato il giusto equilibrio e non vediamo l’ora di far ascoltare a tutti il frutto del lavoro fatto nel corso degli ultimi 2 anni.
Grande Disagio!