Un esordio quello di Andrea Sandroni in arte Dirlinger che sforna un disco davvero molto particolare, in linea con mode assai battute e dalla formula decisamente potente: rimestare il passato in tutto e per tutto, dai suoni ai modi, dalle immagini ai vestiti. E qui penso subito ad un artista come Andrea Lazlo De Simone… ed ecco la formula che in qualche misura si ripropone: “Contastorie” è un primo disco per l’artista che si definisce “marchignolo” (si muove artisticamente tra Romagna e Marche). Canzoni pulite di parole quotidiane che si avventurano nell’arduo compito di rendere solido un ponte figurativo tra ieri e oggi.
Linguaggio e poetica: nei testi avverto un forte richiamo alla tradizione cantautorale italiana, con una scrittura evocativa e ricca di immagini. Dunque il passato o il futuro? In che zona del tempo di senti più a tuo agio?
Può sembrare una di quelle solite risposte ad effetto, ma direi nel presente: il passato può apparire migliore per effetto della nostalgia o dell’‘anemoia’ (ovvero la strana sensazione di nostalgia per qualcosa che non si è vissuto); al contrario, il futuro è ignoto. Invece, il presente, è tutto ciò che di certo abbiamo.
Ma sbaglio o c’è tanto anche nel suono e nel mix degli strumenti?
In fase di produzione c’è stato un lavoro di cesellamento che ha portato a varie produzioni per diversi brani, affinché i “vestiti musicali” si adattassero al meglio alle storie che si raccontavano. La scelta del mixing – come gli espedienti narrativi lirici – è anch’essa il segno di una forte assimilazione del suono e del gusto in particolare degli anni Sessanta e Settanta. Le voci, i riff e le melodie così volutamente “davanti” non sono un caso: durante le registrazioni ascoltavo ad oltranza cantautori come Dan Hill e Fabrizio De André. A modo proprio, ci sono finiti dentro anche loro.
“Vincent” e la tradizione folk: perché questa scelta, perché proprio Don McLean? Inevitabile chiederselo…
La scelta di aprire con questa canzone vuole da una parte omaggiare la tradizione italiana delle traduzioni di caposaldi del folk classico da cui indubbiamente ho attinto molto e dall’altra omaggiare la mia folta attività live dove propongo spesso perle della storia della canzone d’autore. Come se ciò non bastasse, l’impostazione narrativa di questo brano mi sembrava perfettamente in linea con le storie dell’album, quindi mi sembrava un lieto esempio di ‘fortuna artistica’ che dimostra che l’arte vera trascende il tempo e sopravvive alle mode.
Narrativa musicale: Ogni brano dell’album racconta una storia ben definita, con un’attenzione quasi letteraria alla struttura narrativa. È un’impalcatura voluta o sono solo mie sensazioni e letture?
Più che voluta, direi ‘rivelata’: i pezzi sono nati tra il 2020 e il 2024, e hanno dimostrato un’assimilazione di cantautorato classico in maniera forte. Sono cresciuto ascoltando la canzone impegnata, e se oggi scrivo lo devo all’essere rimasto colpito da canzoni come “La locomotiva” di Guccini. Non riuscirei troppo a mettermi in primo piano se non attraverso un’esemplificazione della mia esperienza. Se non fosse per un’impalcatura lirica che in alcune canzoni diventa a tratti didascalica, l’album non si sarebbe chiamato “cOntastorie”.
Il futuro secondo te? Che suono avrà? O si torna alle origini?
Anche se generalmente sono un pessimo previsore, credo ci sarà una grande dicotomia che forse già ora si sta delineando; partendo dal presupposto che i generi musicali per come li conoscevamo fino a sei o sette anni fa si stanno facendo ricomprendere dalla definizione più generica di “pop”, credo si delineeranno sempre più due tendenze: tra chi si lancia sulla sperimentazione di nuove possibilità fornite dalle nuove tecnologie e chi studia un attento ritorno ad una musica scarna ma più calda, laddove l’artificio si nasconde meglio e le canzoni sembrano più autentiche.