Diodato – “E forse son pazzo”
Diodato non è esattamente un perfetto sconosciuto. Già nel 2007 il nostro aveva presentato un EP autoprodotto al MEI di Faenza e ancora nel 2010 si era fatto notare con il singolo Ancora un brivido entrato in rotazione in più di qualche radio. Ora di acqua sotto i ponti ne è passata se pensiamo che a breve vedremo il nostro cimentarsi sul palco dell’Ariston, nella kermesse sanremese dei Giovani assieme, tra gli altri, all’ottimo The Niro. Nel 2011, nella sua intensa attività live incontra Daniela Tortora, produttore romano già collaboratore di Afterhours, Niccolò Fabi, Roberto Angelini su tutti, con il quale inizia la collaborazione che sfocia in questo E Forse sono pazzo, primo full lenght uscito sotto l’etichetta Le Narcisse. Musicalmente parlando potremmo collocarlo nell’intersezione tra Silvestri, Capossela e Negramaro ovvero in una fetta di mercato rilevante in terra italica, dove la canzone popolare ammicca e si sposa con pop rock irriverente e di alta classifica.
Il disco parte con “Mi fai morire”:brano allegro e dall’incidere divertente con accenti sul 2 e il 4 battito della scansione ritmica, elemento caratteristico delle ballad del disco. Si passa velocemente al primo singolo estratto dall’album, “Ubriaco”. Brano con elementi bossa, dove la voce narra di un tale talmente ubriaco da non riuscire a soccorre l’agognata fanciulla, momentaneamente vulnerabile. Si procede con “Ma che vuoi”, primo episodio in cui il ritmo aumenta e con chiari spunti pop rock. Allitterazioni continue e un groove che rimane in testa.
La title track “E forse sono pazzo” mette in risalto il falsetto del nostro, davvero notevole, come del resto l’intero pacchetto vocale di Diodato. Peccato che abbia uno sviluppo piuttosto monocorde. Si passa a “I miei demoni”, potenziale singolo che compete con le canzoni più riuscite dei Negramaro, con in più sul finale un fraseggio di chitarra distorta a richiamare quasi le parentesi gratificanti e più riuscite degli Afterhours. “Panico” è una canzone rock ‘n roll ben costruita; forse troppo ben eseguita, sembra mancarle proprio l’imperfezione del rock. “Capello bianco” è un bel brano sul tema dell’invecchiamento, caratterizzato da una prova vocale sontuosa. “Patologia” , una lenta e triste canzone dal titolo appropriato, lascia il passo alla cover di De André “Amore che vieni Amore che vai”. Qui vale la pena spendere due parole: fare una cover di questo tipo non è assolutamente facile e Diodato riesce alla grande nell’impresa, fornendoci una versione che non altera l’originale ma la modernizza. Una vera e propria versione alternativa. Chitarre distorte che si legano benissimo con la scelta del cantato in una tonalità alta, conferendole una freschezza senza precedenti. Se ne sarà accorta anche la produzione se ne ha tratto un altro video ufficiale. Per “Se solo avessi un altro” vale esattamente il discorso della terza traccia dell’album, rock leggero e testo allitterativo che cerca in ogni modo di ritagliarsi uno spazio nel tuo cervello.
Il disco si chiude con “E non so neanche tu chi sei” che se nei primi due minuti ci offre un cantato adagiato su un arrangiamento sintetico e minimale, sorprende poi sul finale con un cambio “reggaeggiante” che le conferisce ben altro piglio e allegria. Sicuramente non il pezzo più riuscito del disco ma con una coda che ben si presta a un congedo con un mood positivo di questa opera. Se non fosse che qualche secondo dopo la canzone riparte e sembra non voler finire mai. Un brano che dura nove minuti circa e con tutti questi registri forse è un azzardo in questo genere così mainstream e fruibile ai più.
Lasciatemi dire che di alternativo di questo disco c’è davvero poco. E non che questo sia necessariamente un male. Doveroso inoltre dire che non siamo di fronte a una piccola produzione indipendente, tutt’altro. La cura dei suoni è a livelli da major. Gli arrangiamenti e l’esecuzione sono sapienti e pressoché perfetti. Un buon album, molto ben inserito nel genere e rivolto a un pubblico specifico, che in Italia (udite udite) esiste. Unica considerazione costruttiva è che forse manca un po’ di coraggio specialmente nei testi: se si vuole vendere qualche disco e crescere in popolarità va bene ma se, come personalmente auguro all’artista in questione, si vuole essere artisti di rottura, che indirizzano il mercato piuttosto che assecondarlo, la prossima volta speriamo di vederne scelte testuali più ardite. Qui gli attributi per essere protagonisti del pop rock cantautoriale italico ci sono tutti.
Alessandro Ricci