È passato un altro anno, siamo tutti più maturi. Dovremmo esserlo. Prendere coscienza delle problematiche affrontate finora dovrebbe far sì, attraverso la nostra intelligenza, di risolvere o quantomeno pensare di poter risolvere quello che non va. Alla fine stiamo parlando di musica. Non si parla di politica, di economia, di vita o di morte. Si parla di arte. Che poi, a pensarci bene, intorno alla musica gira un mondo bellissimo e tutti i personaggi che fanno parte di questo fantastico mondo cercano di allietare l’esistenza di chi ne sfrutta le infinite potenzialità. Quindi, perché farci problemi? Lasciamo le cose così come stanno. Tanto prima o poi si aggiusteranno da sole. Forse prima o poi, improvvisamente ci sarà una rivoluzione di massa e contemporaneamente le persone si accorgeranno che la musica oltre ad essere uno strumento in grado di suscitare emozioni, è cultura.
Riporto una notizia di pochi mesi fa: “Il viceministro dell’Economia e delle Finanze Stefano Fassina è favorevole alla possibilità di introdurre quote percentuali minime a tutela della musica italiana in radio e in tv seguendo il modello francese che prevede in virtù di un “contratto di servizio” stipulato con la Rai e con i maggiori network privati una quota pari al 40 % di musica italiana all’interno della programmazione quotidiana, con un ulteriore 20 % destinato alla promozione di giovani talenti”.
Leggendo una notizia simile sono balzato in piedi incredulo, mi sono avvicinato allo schermo del mio computer e strabuzzando gli occhi, ho riletto più volte cercando di carpire il senso logico dell’intervento del ministro.
Sì perché un senso ce l’ha, deve averlo. Deduco per prima cosa che la musica italiana è in crisi. E fin qui nulla di nuovo. Analizzo il contenuto.
Se un ministro interviene su un simile argomento vuol dire che non è poi così banale. Sta cercando di risolvere quindi un problema. Chi diffonde musica sta in parte distruggendo l’economia italiana perché nelle varie programmazioni non inserisce abbastanza musica italiana. Quindi si impone una percentuale limite. Ogni dieci brani, quattro devono essere prodotti italiani e due di questi necessariamente giovani talenti. Esisterà un deejay bravo in matematica che sia in grado di fare una scaletta con i suddetti canoni. Ora, quello che mi chiedo io è, siamo sicuri che il principale problema siano le radio italiane? E conseguentemente, siamo certi che imponendo simili regole si riescano a risolvere tutti i problemi inerenti alla crisi della musica italiana? Fin da ragazzino, ascoltando la radio cercavo di selezionare le programmazioni che preferivo in base alla musica e chi passava la musica. E tutt’ora quando posso accendo lo streaming cercando di sentire buona musica, italiana e non. In vent’anni che ascolto la radio c’è sempre stato qualcuno che attraverso l’interazione con il deejay di turno, alzava la cornetta, chiamava in radio e implementava le playlist facendo richieste. Ecco che spunta fuori la parola “richiesta”. La radio è selezione.
Con un vincolo di questo tipo mi immagino in un futuro non troppo lontano qualcuno che chiama in radio, fa una richiesta musicale e gli viene negata perché non soddisfa pienamente i requisiti delle leggi nazionali sulla diffusione della musica. È il rovescio della medaglia. La maggior parte della musica che oggi passa sulla radio viene imposta dalle major, che spingono per diffondere il loro prodotto. Si parla di passaggi radiofonici assicurati nei contratti. Sicuramente imporre delle percentuali alle radio limiterebbe la certezza di avere in diffusione un prodotto prestabilito, ma andrebbe a modificare solo in parte l’economia che ruota intorno al mondo della musica. Ecco perché a mio (modestissimo) parere probabilmente bisognerebbe agire sul prodotto e non sulla diffusione dello stesso. Incentivare la produzione di musica italiana probabilmente darebbe maggiore sfogo ai talenti e lascerebbe invariato il processo di naturale selezione in base al gradimento. E qui sorge spontaneo un dubbio. Sarà che forse, se la musica italiana è in crisi, la colpa sia da attribuire alla scadente qualità della musica prodotta? Perché l’artista straniero viene quasi sempre preferito all’artista italiano? E non mi pongo io la domanda, ma è intrinseca nel discorso se il ministro supporta l’imposizione delle percentuali nei passaggi radiofonici. Magari più in là avrò le risposte a tutte le domande che mi pongo. Certo è che i tempi sono cambiati e giorno dopo giorno mi accorgo che la “pirateria” sul web viene sostituita da nuovi strumenti in grado di limitare il gesto illecito che si compie ogni volta che scarichiamo musica. Da YouTube a Spotify passando per Reverbnation e Soundcloud per citare i più conosciuti, la diffusione della musica si evolve per fortuna.
Ascoltare musica gratuitamente non è più reato grazie alla tecnologia, e sono sempre più convinto che proprio la tecnologia sarà la soluzione ai problemi dell’economia nel mercato della musica italiana. E non credo che mi passerà facilmente l’abitudine a comprare i cd dei gruppi emergenti ai loro concerti. Nonostante sia sempre più facile acquistare il download dal web, poter scartare il cellophane e sentire l’odore della stampa sfogliando un libretto mentre si ascolta quella che io chiamo arte, rimarrà sempre per me un’emozione.
Mad Curtis
.. infatti!! Imporre la percentuale minima del 40% di musica italiana in radio significherebbe solo, senza offesa per il panorama musicale nostrano, invadere l’etere di robaccia, promossa solo perchè italiana (!) , a discapito di artisti internazionali piu’validi .,. che poi sono sempre la fonte di ispirazione migliore per gli artisti nostrani! Bisogna lavorare sulla qualità del prodotto e sulla tecnologia!!