– di Assunta Urbano –
Si parla spesso di radici, di territori e provenienze. Negli anni, tra interviste e tante persone conosciute, ho avuto la possibilità di confrontarmi con mentalità diverse. Alcune con il mio stesso “rifiuto” della terra natale. A queste ho ripensato durante la mia chiacchierata con Piermarino Spina e Andrea D’Amico, rispettivamente batteria e voce dei Diamarte.
Ai due si aggiungono Davide Pacitto alla chitarra e Floriano Gentile al basso. Il progetto molisano, prettamente rock e alternative, è supervisionato da un ospite e mentore esclusivo: Carmelo Pipitone, uno dei musicisti più eclettici del panorama italiano.
I quattro hanno inciso undici brani che ascolteremo prossimamente. Di questi, due sono già stati pubblicati: “Belzebù” e “Falso risveglio”. Cresce la curiosità di ascoltare il lavoro nella sua interezza. Segnatevi questo nome, non ve ne pentirete.
Parliamo di live. Che tipo di impatto hanno i Diamarte sul palco?
Piermarino Spina: Abbiamo avuto poche esperienze fino ad ora, ma tutte molto formative. Abbiamo lavorato all’album insieme a Carmelo Pipitone, che ha fatto la storia del cantautorato rock italiano. Più che spaventati dai grandi palchi che speriamo verranno, siamo gasati.
Il vostro suono ha conquistato il palato raffinato di Carmelo Pipitone. La sua presenza ha cambiato in qualche modo il progetto?
Andrea D’Amico: Sì, senza dubbio all’inizio. Carmelo ci ha aiutato a riscoprire il rock, in una certa maniera. Prima di lui ci eravamo un po’ adeguati all’andazzo più pop. Anche se si tentava una strada più alternativa, il risultato non era sempre piacevolissimo. Viviamo in una piccola regione, in cui al massimo c’è un locale.
PS: Torniamo al problema del territorio. Lavorando a scuola, mi rendo conto che è un problema vivere in un posto che non offre cultura. Parlo di qualsiasi tipo, non solo di musica rock.
AD: L’arrivo di Carmelo tra i Diamarte ci ha dato speranza, ci ha dimostrato che si può fare. Non dobbiamo aver paura di suonare in un certo modo.
PS: Negli ultimi due anni abbiamo capito tante cose. Abbiamo suonato a Napoli qualche settimana fa e abbiamo visto un coinvolgimento pazzesco, anche se il pubblico non conosceva i brani. Da molisano mi dispiace, ma fuori una speranza c’è. L’underground rock esiste ancora da qualche parte. Per fortuna.
Un messaggio di speranza bellissimo. Poi, lo scenario apocalittico che mi avete descritto lo conosco molto bene.
Il 18 febbraio scorso è uscito il vostro secondo singolo “Belzebù”. Di cosa parla questa canzone?
AD: Il pezzo è nato nel primo lockdown, quello di marzo 2020, dopo l’esperimento con Carmelo. Abbiamo smesso di avere paura di tirare fuori quello che abbiamo dentro. Forse “Belzebù” è la più estrema del disco, sia ritmicamente che nei testi. Il significato non è biblico, come è stato affermato più volte. È legato agli aforismi di Carmelo Bene del Maurizio Costanzo Show. La massa di pecore diventa l’umanità.
In un certo senso potrebbe essere interpretata “Belzebù” come manifesto della band, che si oppone alla massa?
AD: Diciamo di sì, anche perché tutto il discorso del disco gira intorno a questo tema. Ci ha proprio preso l’argomento! [ride, ndr]
In una circostanza del genere, cosa può fare il musicista? Qual è il suo modo per smuovere il gregge?
AD: Suonare, soprattutto live.
PS: E non aver paura. Poi, consiglio di studiare, perché è molto importante.
AD: Nel senso anche di ricerca.
PS: Esatto.
AD: Si ripete il discorso di separarsi dalla massa. Se dai Diamarte esce fuori un pezzo da sei minuti e venti, noi non lo tagliamo per farlo passare in radio o sulle piattaforme più facilmente. Non vogliamo fare compromessi.
PS: Abbiamo i brani più corti. Ogni canzone è un pensiero musicale, se una ha una determinata durata, non puoi spezzarla.
Con tutte queste anticipazioni, non posso non chiedervi come sarà il primo disco di inediti della band, in uscita quest’anno.
AD: Il disco è strutturato in più parti. Fino ad ora è stata pubblicata la parte più movimentata e rude, ma ci sono mille altre sfaccettature. Con l’album abbiamo concentrato ciò che sentivamo, le nostre emozioni. Ci saranno pezzi legati a ritmiche ballabili, canzoni più profonde e intime.
PS: Un aspetto molto importante, e che spero si comprenda dall’ascolto, è che abbiamo registrato l’intero lavoro live, non separati, ma tutti gli strumenti insieme. Siamo tornati un po’ al rock underground anni Novanta. Ovviamente poi c’è la parte successiva del missaggio. È fondamentale fare le cose nel modo giusto, però si sentirà quella vena dal vivo.
AD: Ci piace anche cambiare. Magari al secondo disco dei Diamarte procederemo in tutt’altro modo. Ma adesso è un po’ prematuro parlarne.
Immaginando di avere una macchina del tempo, in che epoca musicale vorreste ritrovarvi?
AD: Negli anni Settanta, assolutamente!
PS: Vorrei ritrovarmi ad ascoltare la musica barocca. Mi piacerebbe molto vedere la nascita della musica classica. Incontrare Mozart e vedere la creazione delle prime note. Essere parte della storia.