UNA CHIACCHIERATA CON MOX
– di Roberto Callipari –
Mox è una di quelle penne forti del nostro panorama musicale, uno di quelli che con pochi versi sa essere incisivo e arriva dove vuole, comunicando ciò che sente. “Dentro la mia stanza”, il suo ultimo singolo, si inserisce ovviamente in questa sua visione artistica, portando agli ascoltatori qualcosa che è comunque un nuovo esperimento e un nuovo modo di lavorare, anche se non tradisce minimamente la sua poetica.
Abbiamo avuto modo di raggiungerlo per fare una chiacchierata sul pezzo, sulla musica in generale e sul futuro di Mox.
Mi sembra un pezzo molto intimo: ti va di raccontarmi com’è nato?
Sì, è senza dubbio un pezzo molto intimo. Diciamo che la particolarità di tutto il prossimo è quella di vedermi per la prima volta scrivere con altre persone. Di solito la scrittura era semplicemente mia, al massimo scrivevo con il mio vecchio batterista, “Lollo” dei Jonny Blitz. Con lui ho scritto moltissimo, ma questa è la prima volta in cui esco dalla mia comfort zone e mi confronto con altre penne.
Questa canzone in particolare mi ha visto collaborare con Peppe Levanto [Giuseppe Levanto, ndr], che è un pianista, produttore e poeta (tiè, tutte P!). Con Giuseppe mi sono trovato molto bene: è stato davvero gentilissimo a prestarmi il suo dolore. È è una sua vecchia canzone, che mi ha voluto far ascoltare, e insieme l’abbiamo riscritta; mischiando il dolore, il sangue, le penne ed è venuto fuori questo. Io sono molto felice del risultato e in generale dell’essermi finalmente approcciato alla scrittura con altri autori, che secondo me è la strada che ogni musicista dovrebbe percorrere. È una bellissima sperimentazione, che mi ha dato modo di tirar fuori anche emozioni che neanche sapevo di avere e che ho scoperto anche grazie allo sguardo esterno di un’altra persona.
Quindi ci stai già dicendo che ci prepari per un disco nuovo.
Sì sì, mi è scappato. Non so ancora nulla, eh [ride, ndr], nel senso che sto registrando.
Dall’ascolto del brano e da ciò che hai già detto mi viene da dire che Mox è sempre Mox, però in una veste nuova nel pezzo. “Dentro la mia stanza” si prende il suo tempo, anche se in tre minuti e mezzo.
Sì, quella è la sfida insomma: riuscire a dire qualcosa in tre minuti, in soli tre minuti. È un pezzo che parla fondamentalmente d’amore, come piace parlare a me nelle canzoni, anche se non tutte le canzoni che sembrano parlare d’amore parlano davvero d’amore. Qui ci sarebbe da aprire una parentesi perché, volendo, l’amore lo puoi sfaccettare come vuoi.
È interessante perché ciò che stai raccontando ora emerge anche da un paio di versi del brano, nel momento in cui dici “L’amore è una cosa sbagliata, l’amore non salva la vita”.
Nel parlare d’amore si parla anche di contraddizione e confusione, che sono fra le cose che secondo me lo contraddistinguono di più. Spesso succede che nel caos del sentimento si possa arrivare a pensare anche la cosa più estrema, più lontana e sbagliata possibile. In questo flusso di pensieri si arriva anche a fare delle considerazione inadeguate.
Riascoltando il pezzo viene quasi da chiedersi, in un dialogo con se stessi, cosa si è disposti a fare davvero perché i rapporti funzionino.
Esatto, la sfida è un po’ quella, perché alla fine non esiste un rapporto che è rose e fiori e basta, è un po’ un mettersi in gioco ed essere pronti a dare e anche a ricevere, perché anche quello sono le relazioni.
Prima c’era la band, poi è arrivato il progetto solista, che è stato un altro gioco, nel senso di “divertimento” e di “esperimento”. Credo che la sensazione, per chi ti segue dai tempi dei Jonny Blitz, è che tu sia sempre te stesso, pur cambiando continuamente. Cosa sta succedendo ora?
Sta succedendo che mi sto divertendo, semplicemente. Hai usato la parola “giocare” e hai fatto benissimo, secondo me. Quello che dovremmo ricordarci tutti è che questo mestiere ha una componente di gioco che è fondamentale, e che se la si trascura tutto quanto perde un po’ di senso. Da questo punto di vista mi piace pensare che la mia musica cresca insieme a me e insieme ai miei ascolti. Sono un grande fan degli anni Sessanta italiani ma i miei ascolti sono anche ultra moderni, quindi resto sempre aggiornato. Una canzone che mi piace può influenzarmi e trascinarmi, stimolarmi a farne poi una sorta di mia versione, a farmi conquistare da certe sonorità o da una particolare metrica un po’ più stretta che si allontana da quella che può essere quella classica.
Vieni spesso appellato come un “cantautore d’altri tempi”, forse per la scrittura, forse per l’estetica di rimando. Ti ci ritrovi, in quanto artista? Ma poi, i cantautori non sono tutti “d’altri tempi”?
Diciamo che sì, oggi se pensiamo al cantautore inevitabilmente facciamo un salto temporale di cinquant’anni. In quell’epoca la musica è stata associata anche a un momento storico in cui c’era bisogno di quella musica in particolare. È un po’ quello che avviene sempre, solo che il momento storico che viviamo oggi non è così “profondo”, pregno di bisogni e rivoluzioni come era un tempo. Anzi, viviamo un momento molto adagiato su se stesso e noi siamo quasi spettatori impassibili, che scelgono di restare a guardare.
Di conseguenza, la musica cha va oggi è anche di facilissimo ascolto, non vuole troppo scomodare le coscienze di nessuno. Dal canto mio non faccio troppo caso, quando scrivo una canzone, a quella che può essere la moda del momento, a quello che può aiutarmi a far andare il pezzo in radio o no. L’unico metro di giudizio è sempre la mia coscienza e il mio gusto: mi piace pensare che divertendomi riesco a divertire gli altri, anche se poi spesso la mia musica è tutt’altro che divertente [ride, ndr], ma questo è un altro discorso.
È un’esigenza che si percepisce perché guardando le tue uscite e il tuo catalogo, sembri essere un autore che non ha problemi ad uscire quando ne sente realmente il bisogno, con anche una pausa di un paio di anni (almeno nelle release), evitando di sforzarti di dire qualcosa anche se non hai nulla da dire.
Sì, assolutamente, anche perché è una mia caratteristica in senso assoluto: anche con gli amici sono quello più silenzioso, diciamo così, perché preferisco pensare bene ciò che devo dire, per essere più preciso e mirato.
Sembra, e dico sembra, che si stia tornando un po’ verso quella scena “alternativa/indie/itpop” di qualche anno fa. Con il Covid quel fermento si era un po’ fermato, ma sembra si stia tornando quasi alla situazione ante pandemia. Cosa pensi che sia cambiato? Cosa credi ci sia stato nel mezzo?
Guarda se tu mi dici che sta tornando io ti credo, me lo auguro e sono felicissimo. In mezzo c’è stata tanta roba, ma non credo di condividere granché questo approccio (certe volte troppo leggero) verso la musica. A livello di testo, di contenuti ma anche musicalmente è troppo semplificato, troppo poco ricercato, almeno per un musicista o per chi ascolta la musica da musicista.
Poi ci sono stati degli eventi forzati, un fermo che è stato imposto. C’è voluto un po’ di tempo prima di riuscire a riassestarsi, a leggere bene la situazione, poterci fare qualcosa e offrire di nuovo qualcosa al pubblico. In questo periodo sia la gente sopra il palco che quella sotto il palco non ha aspettato altro che poter tornare a stare tutti insieme a fare concerti e serate, quindi ci credo che c’è questa grande voglia di fare, di ripartire e di proporre.
Dal mio punto di vista non è che è cambiato molto, credo che ci sia ancora un po’ di strada da fare per riuscire a leggere per bene i tempi che stiamo vivendo adesso, perché è oggettivo che qualcosa è fortemente cambiato da dopo il Covid. O ci si riesce a riassestare in base a questo o non o so quello che verrà.
Hai proposto con l’uscita del singolo anche un videoclip, che sembra voler mandare un messaggio chiaro. Ci sei tu al centro di tutto in una stanza, che c’è ma è fuori fuoco.
Il video fa riferimento al messaggio del testo nella canzone ed è il segno di un concentrarsi su se stessi e, di conseguenza, rivivere un percorso senza distrazioni. Poi che sia dentro la stanza è una conseguenza del fatto che ci si deve isolare per ascoltare davvero quello che si ha dentro.
L’immagine della stanza allora ci può raccontare qualcosa? Che stanza descrivi?
Era una stanza con pochissimi dettagli, fuori fuoco, una stanza che poteva essere una qualunque stanza, in un certo senso. Tutte le certezze diventano sfocate, diventano non più così certe; è una stanza in cui l’unico oggetto che si vede è il pianoforte. È un po’ come fosse uno studio di psicologia, e il pianoforte lo psicologo, in cui affidarsi alla musica da un punto di vista quasi terapeutico.
Cosa possiamo aspettarci dal futuro di Mox?
Tanto, tantissimo, anche se non sono molto sicuro di poter suonare dal vivo quest’estate perché c’è tanto in ballo, tanto a cui sto lavorando. Ma manca poco, fosse per me anche domani, ma arriverà tutto!