– di Giacomo Daneluzzo –
Lo confesso: sono un grande fan de I Cani. Ho provato a nascondere il dolore per la semi-sparizione di Niccolò Contessa, ho provato a ripetermi che tutto sommato non m’interessa, che Contessa è anche sopravvalutato, che alla fine è tutto hype, ma niente, alla verità non si sfugge: ero, sono e sarò sempre un accanito (!) fan di Contessa e del suo lavoro. E ogni volta che esce un nuovo disco – o brano – «prodotto da Niccolò Contessa» impazzisco e può anche essere il disco – o il brano – di qualsiasi insipido cantautorucolo da due soldi che corro a sentirmelo e a risentirmelo fino a farmelo piacere. Fossi stato meno povero avrei comprato il famoso cofanetto da 85 euro con la discografia, ma non avevo proprio una lira, quando è uscito. Perché, anche se lo nego agli altri e a me stesso, lo considero un grandissimo autore e sarà sempre così.
Parallelamente, con meno contrasti interiori, sono anche un grande fan dei Baustelle. Sono milanese, la loro città d’adozione, non c’è un loro disco che non mi sia piaciuto e mi piacciono molto anche i lavori solisti di Francesco Bianconi e di Rachele Bastreghi. Sono corso alla data milanese del tour Elvis e non vedo l’ora di fare il bis a maggio, quando suoneranno ancora nella mia città. Amore indiano, il pezzo di Tommaso Paradiso con i Baustelle, quando è uscito mi ha spezzato il cuore perché non mi piace per niente Tommaso Paradiso, ma è comunque nella mia playlist dei brani più ascoltati del 2023 su Spotify. A mani basse il mio gruppo italiano preferito. Per dire, ho una playlist con tutte le canzoni di cui Francesco Bianconi è autore, anche non dei Baustelle (e sì, ha scritto una hit estiva di Francesco Gabbani, tra le altre cose).
Oggi pomeriggio Riccardo scrive sul gruppo della redazione: «Cioè, esce un nuovo disco de I Cani e nessuno di voi perde la testa?». Io, in piena fase JOMO (joy of missing out, un concetto un po’ straight edge nato su internet che consiste nell’allontanarsi dai social per non esserne risucchiati), non ne sapevo niente e capirete, visto quanto detto prima, che effettivamente ho perso la testa: due dei miei preferiti di sempre che fanno QUALCOSA insieme, qualunque cosa sia? Devo correre!
Così ecco che inizio a digitare a velocità supersonica su Google e Instagram; con i pollici in fiamme, non so neanche come ma trovo qualcuno che in una storia pubblica i nomi dei negozi di dischi che hanno ricevuto questi vinili in edizione limitatissima, quindi mi precipito fuori casa e mi dirigo verso il più vicino dei due negozi milanesi sulla lista, senza smettere di cercare informazioni – per esempio se ce ne fossero altri a Milano. Mentre lo faccio vedo due post Instagram dei due negozi: sold out, dappertutto, subito. Neanche un’ora, sembrerebbe. E a quanto pare proprio dappertutto, nei negozi coinvolti in tutta Italia, non solo qui. Non solo nella metropoli, troppo popolata per avere qualche speranza.
E allora nasce la rabbia: contro 42 Records, di sicuro, ma anche contro Contessa: va bene voler stare lontani dai riflettori, va bene il λάθε βιώσαςTraslitterato è làthe biòsas e significa «vivi nascostamente», massima del filosofo greco antico Epicuro, nda, ma cazzo, DIECI COPIE a negozio? Non vi sembra un po’ troppo poco, con tutta l’attesa che c’è di nuovo materiale de I Cani?
Ma mi sono sentito ancora più tradito dai Baustelle, che invece hanno i social, che sono sempre disponibili, addirittura Francesco Bianconi aggiorna regolarmente la newsletter ufficiale del gruppo, Fluxus: da loro questo colpo basso non me lo sarei mai aspettato, neanche dopo Amore indiano.
Ma la rabbia è presto sostituita dalla tristezza e dal rimpianto. Se solo me ne fossi accorto prima! (In realtà probabilmente non sarebbe cambiato niente, perché dieci copie sono pochissime e ci voleva un bel po’ di fortuna, ma va be’). Riguardo le foto del doppio vinile: sembra davvero un bell’oggetto. Su ogni lato del vinile c’è una singola traccia, che però contiene, in sostanza, due brani con la stessa melodia, uno interpretato da I Cani e uno dai Baustelle, ibridati tra loro. Immagino a quale dei due progetti vada assegnato ciascun titolo: da un lato abbiamo Nabucodonosor ed Essere vivo, probabilmente il primo baustelliano e il secondo de I Cani, dall’altro lato troviamo Canzone d’autore, dall’aria più contessiana, e L’ultimo animale, titolo che sì, mi sembra abbastanza da Baustelle.
A parte queste supposizioni, probabilmente sbagliate, ci ho messo un po’ (troppo) a rendermi conto che, se a ognuno dei dieci negozi sono arrivate dieci copie del disco, questo significa che ne sono stati venduti cento. Ma a vedere le foto si vede chiaramente che la tiratura è di mille copie, quindi: dove sono queste novecento copie rimanenti? Le possibilità sono che verranno distribuite, come le prime cento, in posti selezionati da 42 Records, altrimenti potrebbero essere vendute online o anche far parte di qualche altro progetto, magari in vista di un intero album insieme, I Cani + Baustelle (che chiaramente sarebbe un sogno, per me). Be’, staremo a vedere.
A parte tutto, comunque, posso imparare qualcosa, da questa vicenda. Innanzitutto che l’hype ci ha fottuto il cervello (a me di sicuro) e che c’è chi capta perfettamente questa cosa ed è in grado di sfruttarla per operazioni commerciali, come questa; l’hype attorno alla figura di Niccolò Contessa è ancora altissimo, al punto da sembrare inesauribile, anche dopo quasi otto anni da Aurora, forse anche per il modo in cui è uscito di scena, praticamente senza dire nulla. E questa trovata dei dieci dischi in dieci negozi in tutta Italia è evidentemente un modo intelligente per far parlare della cosa, per sfruttare il più possibile quest’hype.
Ma soprattutto quest’esperienza mi ha fatto riflettere su quanto mi appaia strano non avere la possibilità di ascoltare una nuova uscita. È nato in me come un ricordo ancestrale, di un tempo che non ho vissuto, in cui se non hai la copia fisica di un disco non c’è niente da fare: non lo puoi sentire, non ci sono alternative, perché la musica o la senti dal vivo o la senti su un supporto fisico, che puoi toccare. Ho pensato a quanto sia diverso il mondo in cui vivo, in cui abbiamo un accesso quasi totale a qualsiasi album o canzone ci possa interessare, in cui non devi spendere dei soldi per poter ascoltare uno specifico disco – o peggio, uno specifico brano – e alla peggio può capitarti di essere curioso di un’uscita imminente, che nessuno può ascoltare.
È una sensazione strana. Sono nato nel 2000, non sono abituato, non mi è mai successo.
E forse non è così una fortuna avere questa possibilità di fruizione pressoché illimitata di musica (e di audiovisivo, anche, ma questo è un altro discorso). Siamo fruitori bulimici, siamo consumatori più di quanto possiamo essere ascoltatori. Non riusciamo quasi più a dare importanza alla musica in sé, (anche) perché abbiamo una disponibilità enorme di musica di ogni tipo e non c’è nessun ostacolo, nessuna difficoltà, nell’ascolto. E così elementi “collaterali” della musica diventano preponderanti nel lavoro dei musicisti, dall’immagine social (che Niccolò Contessa, coerentemente, rifiuta) alle collaborazioni con i brand, dalle apparizioni televisive ai “nomi famosi” nei dischi (nascosti dai crediti della traccia Il regno dei cieli dell’ultimo disco dei Baustelle, che ne contiene diversi).
Stavo per scrivere anche una cosa tipo “collaborazioni inaspettate per fare hype”, ma a quanto pare I Cani e i Baustelle ci sono cascati pienamente. La musica oggi è una non-cosa, prendendo in prestito un’espressione del filosofo sudcoreano-tedesco contemporaneo Byung-chul Han.
Ad ogni modo, anche se tra poche ore i brani dovessero essere online, caricati su YouTube da alcuni di questi cento fortunati che sono riusciti ad arrivare per primi nei negozi (e che sto invidiando pesantemente, insieme a un’infinità di altri fan delusi che si stanno maledicendo per non essersi svegliati prima), anche se tra poco sarà tutto finito, è stato bello vivere per un po’ in un tempo in cui la musica è una cosa diversa, o meglio è ancora una cosa, finché è stato possibile, fino alla fine del sogno. Quindi grazie Niccolò, grazie Baustelle e grazie 42 Records, per avermi fatto vivere qualcosa che forse non so bene cosa significhi, ma che senza dubbio significa qualcosa.