Venerdì 6 maggio 2022 è uscito “Alti momenti di crisi“, l’album di debutto dei Dejawood, fuori su tutte le piattaforme digitali per Pioggia Rossa Dischi. Finalmente il capitolo definitivo per la band di stanza a Roma che segue i singoli “Trenchtown“, “Uroboro” e il più recente “Simbolo“. Un disco che contiene i primi due anni del progetto musicale, nato nel più complicato dei periodi, e qui rappresentato dalla focus track “Intrisi”, il primo brano, che racchiude in sé tutte le sonorità dell’album: analogiche ed elettroniche, il sound desertico e quello urban, un racconto di una notte all’eccesso, tra luci ed ombre, in cui i momenti di lucidità si mescolano a percezioni incerte.
Li abbiamo incontrati per parlare dei loro alti momenti di crisi.
Ci raccontate la genesi della copertina di questo disco? Che cosa ha anche fare questa ragazza tormentata da un canarino con “Alti momenti di crisi”?
La copertina è opera di Paulonia Zumo ed era già stata creata quando l’abbiamo scelta. Ci è piaciuta da subito, racchiudeva il senso del momento che stavamo passando, ovvero solitudine e paura. Ma per fortuna ci siamo rifugiati nell’amicizia e nella musica. Così abbiamo scelto quella donna che urlasse tutte le nostre tensioni.
Che cosa vi ha mandato in crisi da quando avete iniziato, nel 2020, ad oggi?
Alcuni eventi di natura personale ad esempio. Ma sicuramente una instabilità del presente dove tutto è labile o “liquido”, quindi una sensazione di fragilità del terreno sotto i piedi.
Qual è il vostro rapporto con i social? Un gruppo musicale può sopravvivere senza i social? L’esempio Verdena o Iosonouncane può essere seguito da altri?
Dobbiamo iniziare a renderci conto che tutto è possibile. I limiti che ci mettiamo nascono dalla paura di essere il primo a fare una cosa. Insomma, senza aprire un dibattito intrigato e lungo sui social e sul loro utilizzo, questi strumenti aiutano a farsi conoscere, a promuoversi e ad “uscire” dal proprio recinto esponendosi dalla mercé pubblica. Ha i suoi pro e i suoi contro. Noi non ne siamo dipendenti, sappiamo bene che la vita reale è tra le pareti della sala prove e le americane dei concerti. Il resto è gossip.
Cosa vi portate dietro, se vi portate dietro qualcosa, dalla scena musicale degli anni Novanta?
Ci portiamo dietro una visione… un ricordo sbiadito… il negozio di dischi, le cassette, il passaparola, i poster in camera e le locandine fuori i locali. Sai, noi essendo 30enni, vediamo i ’90 come qualcosa di puro e genuino, ricordandoci l’infanzia. Ad oggi comunque la maggior parte della musica di qualunque genere che ascoltiamo viene dai ’90, ci sarà un motivo!
Come si articola un vostro concerto? E qual è per voi un concerto perfetto?
Abbiamo una scaletta che racchiude momenti di fomento puro a pezzi più riflessivi e accoglienti. Faremo tutto l’album ma anche inediti e cover riviste in chiave Dejawood. La perfezione è dare il massimo, scendere dal palco contenti di aver partecipato ad un’esperienza condivisa tra noi e il pubblico. Quelle piccole magie che accadono solo alcune volte nei concerti.