Era da un po’ che non mi capitava tra le mani un bel disco. Dico fuori e dentro.
E l’ho realizzato ascoltando “In realtà è solo paura”, del cantautore siciliano Danilo Ruggero, dal tipico allentamento della tensione sulle spalle che mi capita quando ascolto delle belle canzoni; perché di questo si tratta: un coagulo di belle canzoni. Ben scritte, ben prodotte, sentite forse perché vissute o perché raccontate per poter essere vissute veramente da chi si metterà all’ascolto.
È un’operazione coraggiosa e si sente nell’attenzione riposta in ogni singola parola e nella sua espressione cantata, quando da docile si fa intensa, quando la plettrata sull’acustica arpeggia e poi si infrange sul corpo.
C’è l’onestà di un cantautore che ha maturato nel tempo una propria visione della musica, un proprio pensiero e una propria identità e ha aspettato il momento migliore per presentarsi al pubblico con l’obbiettivo non di piacere, ma di farsi conoscere. È un bell’invito a condividere il proprio mondo con la sincera intenzione di dire: questo sono io, abbracciamoci, piangiamo insieme, gridiamo, ringraziatemi, sputatemi addosso, fischiate, cantate, insomma fate di me ciò che volete perché non ho intenzione di nascondermi. Invito alla vicinanza ancora più forte e coraggioso nella scelta di cantare alcune delle canzoni in dialetto siciliano (“Damu foco ai pinsera”), senza scimmiottamenti, ma facendo riaffiorare in noi quella nostalgia che proviamo pensando a casa nostra quando siamo distanti. Pregio non da poco contando che siamo bombardati da musicisti che credono di poter fare breccia, quella vera, tramite l’anonimato più assoluto di testi che in termini di spessore e poetica competono coi meme di Facebook.
La testa rizzuta di Danilo Ruggero è forse il risultato del turbinio di pensieri contenuti al suo interno messi in musica in un brano come “I figli dei figli degli altri”, critica intelligente e d’altri tempi ad uno spicchio di società che ci appartiene, quella dei social e delle sue tastiere di fuoco, della politica e dei suoi giochi di palazzo, della lotta di classe sempre presente e così immensamente assente che dai tempi di Giorgio Gaber sembra non essere cambiato niente.
Un Ep che è amore, rabbia, pensiero, coraggio. Ma forse, dopotutto, in realtà, è solo paura quella che abbiamo davanti.