Daniele Sciolla torna con un nuovo disco decisamente posto “altrove” in base a quelle che sono tutte le consuete abitudini di suono e di forma. Nuova linfa vitale all’avanguardia tutta italiana in questo futuro digitale e va sottolineato con interesse che questo nuovo disco dal titolo “Spin of Synth” diviene il frutto di una ricerca di sintetizzatori rari pescati a spasso per l’Europa, tra università e centri di ricerca… un disco visionario che al suono non sembra voler dare una valenza estetica ma vuole forse dimostra quanto è capace una stessa forma avere sembianze diverse se processate da macchine diverse. Ecco dunque come mi viene da codificare questo concetto di “spin”, di rotazione. Disco di composizioni elettroniche, di suoni extra-terreni, di concetti privi di “normalità”.
Un disco che potremmo definire concept?
Si, anche se non pianificato. La storia tra una traccia e l’altra si è sviluppata spontaneamente con le esperienze che ho fatto, cercando sintetizzatori, e con le macchine che ho potuto utilizzare. Essendo una tematica così stretta e così legata alla storia dei synth in un range di anni piuttosto ristretto (pre digitale) risulta un lavoro estremamente lineare e quasi guidato da un copione.
Cosa c’è dietro la “rotazione del synth”? Perché questa rotazione?
Lo spin si adatta al concetto di rotazione, vero, ma come nella quantistica l’ho inteso in un significato più ampio. Per me questo “SPIN” è qualcosa che permette di definire un synth, di ascoltarlo a 360 gradi.
In particolare di osservarne il suo carattere unico: la maggior parte delle macchine che hanno preso parte alla registrazione hanno 40 anni, hanno viaggiato in diversi stati, sono state suonate da decine di musicisti. Tutto questo le rende uniche e con un propria personalità.
A questo punto c’è da chiedersi che immagini assoceresti per un video di una di queste composizioni?
Il video per me è quasi un’opera a parte, in genere ha tematiche più giocose e divertenti rispetto all’audio. Alleggerisco la struttura più matematica delle tracce. Nel primo video a cui ho lavorato – “Jupiter” – decontestualizzo il crollo di diversi palazzi per dargli una nuova interpretazione: da un irreversibile ricostruzione a un ballo. Il concetto è in linea con il mio video di “Carezze” in cui però avevo decontestualizzato alcuni momenti della Boxe, trasformandoli in un balletto.
E alla fine: per te il suono digitale, elettronico… che cosa rappresenta? Che significato ha?
È fondamentale. I computer e il digitale hanno segnato un punto di svolta nelle arti. La figura del liutaio è stata sostituita da quella del programmatore e del matematico che scrivono gli algoritmi.
Oggi sempre più sovente l’algoritmo riproduce una certa casualità e cerca di assomigliare di più all’operato umano e analogico. Però per me ogni synth analogico che ho registrato ha una sua storia che lo porta a suonare in modo unico e questo ha influenzato “Spin of Synth”. Ogni macchina ha una personalità, che rientra in quello che ho chiamato “spin” di un sintetizzatore.
Esiste in questo lavoro qualcosa che sia “analogico”?
Assolutamente: i sintetizzatori di“Spin of Synth” sono tutti completamente analogici, la maggior parte costruiti in anni in cui il digitale nei synth ancora non esisteva. Anche quelli costruiti a cavallo tra analogico e digitale che ho utilizzato rimangono comunque puramente analogici. Ho utilizzato solo macchine di questo tipo perché affascinato dall’organicità delle loro sonorità e timbriche.