– di Michela Moramarco –
Dalila Spagnolo è una giovane cantautrice pugliese che è stata tra i 56 finalisti di Area Sanremo nell’edizione corrente. Il suo primo progetto inedito ha un titolo molto forte: “Fragile”. L’album è composto da sette e originalissime tracce, ognuna appunto con una sua peculiarità, anche se nel complesso l’album è caratterizzato da una certa coerenza. Le sonorità dei brani strizzano l’occhio alla world music ma a dare personalità a ciascuno di essi c’è la voce a tratti eterea ma potente della cantautrice salentina. Dalila Spagnolo, infatti, definisce in questo primo progetto la sua cifra stilistica, la quale senza dubbio lascia intravedere un ottimo potenziale da artista. Nei brani trova molto spazio il suono della chitarra acustica, ma non si rinuncia neanche ai fiati. Il risultato è un prodotto molto personale, che forse si discosta dalle tendenze mainstream. Ma Dalila Spagnolo porta avanti il suo universo senza ombra di timore. Non a caso i temi trattati in questo album sono innanzitutto legati alla fragilità che ogni individuo cerca a modo proprio di nascondere, ma che nella musica possono trovare confronto e conforto. Non manca un modo di raccontare anche la fiducia in un rapporto amoroso, ma affrontata con ineludibile maturità umana ed artistica.
Abbiamo intervistato Dalila per indagare su questo universo delicato ma evocativo creato dal suo primo progetto inedito.
“Fragile” è il titolo del tuo progetto inedito. Ma allora quanto coraggio ci vuole per cantare la fragilità senza filtri e senza timore?
La misura necessaria del coraggio di parlare di fragilità è direttamente proporzionale al coraggio che serve per scrivere e cantare delle proprie fragilità. Questo comporta incontrarle e trasformarle. E non è semplice quando l’incontro è così profondo e intimo. A volte fa male ma è per me un canale salvifico, quello della musica. E lo diventa per ciascuno voglia ascoltare senza condizionamenti, a cuore aperto.
Il tuo stile musicale è molto peculiare, quasi controtendenza rispetto al dilagante pop che spesso può diventare addirittura mainstream. Che ne pensi?
Mi fa molto piacere che tu lo dica. Difatti, non mi piace rispondere alla domanda “che genere fai?”, perché non lo so, non mi riconosco, non l’ho mai deciso. Cerco di rispondere solo ad un bisogno interiore che è quello di creare l’arrangiamento coerente e sinestesico con il brano nudo e crudo di partenza. Al centro c’è l’impatto emotivo della melodia e il messaggio contenuto del brano. Il resto deve accompagnare verso un viaggio interiore.
La tua musica è tutt’altro che fragile. È stato complicato trovare le sonorità più adatte per questo progetto?
In realtà è venuto tutto spontaneamente, in lockdown. Sicuramente le contaminazioni sono arrivate dopo il viaggio in Burkina Faso, ma come ti dicevo prima, il sound cucito addosso ai brani, quindi l’arrangiamento, è nato per mantenere coerenza. In studio abbiamo rivoltato come un calzino alcuni brani, ma in realtà è stato molto naturale. E soprattutto, senza regole o paura di non essere mainstream.
Che emozioni hai provato nel momento in cui hai vissuto l’esperienza di Area Sanremo?
Potrei dirti alcune parole chiave.
Fifa. Grinta. Motivazione. Concentrazione. Leggerezza.
Quanto è importante secondo te il confronto con altri artisti per il proprio percorso?
Credo che il confronto sia un elemento fondamentale. Personalmente le esperienze più intense le ho vissute perché ho permesso a me stessa di relazionarmi con gli altri e vibrare, attendere, gioire, sognare insieme ad altri artisti, persone, ragazzi che come me “camminano verso”. È occasione pura di trasformare l’empatia in qualcosa di palpabile. È intrecciare percorsi e vissuti.
E poi, (non sempre è possibile, ma quando succede è bello) è costruttivo scambiarsi dei feedback spassionati e disinteressati con altri artisti.
Domanda inevitabile: quali sono le tue prospettive per il futuro?
Ti rispondo citando il testo del brano vincitore di Area Sanremo, dal titolo “Alberi d’eterno”:
“Continuo a camminare nella mia verità”
Grazie.