– di Martina Zaralli –
Dimentichiamoci le sonorità punk. Gian Maria Accusani si svela in chiave acustica con lo spettacolo Da Grande faccio il musicista, uno show intimo per rivivere le esperienze e le emozioni della sua esperienza artistica e personale nel mondo della musica.
Anticipato dalla rilettura del brano Il fiore per te, lo spettacolo ideato dal fondatore dei Prozac+ e Sick Tamburo ci porta in una dimensione intima della sua vita, dai primissimi esordi legati al movimento The Great Complotto ad oggi, attraverso aneddoti e canzoni sorretti dalla magia della chitarra e della voce.
Lo abbiamo raggiunto al telefono, ecco cosa ci ha raccontato.
Con la rilettura in chiave acustica di Il fiore per te hai regalato un’anticipazione dello spettacolo Da grande faccio il musicista: come è nata l’idea di uno show teatro-canzone?
La scorsa estate, quando non si potevano fare concerti per via del Covid, mi è arrivata la proposta da parte del mio agente di valutare l’ipotesi di mettere su dei live da solo. All’inizio ho rifiutato: immaginarmi da solo, sul palco, non mi convinceva molto e avevo paura di annoiare il pubblico. Però da qualche tempo, in effetti, c’era in me l’idea, la voglia, di raccontare il mio viaggio dentro il mondo musicale, ripercorrendo le mie esperienze e accompagnando i ricordi con le canzoni. Ho fatto una serata, mi è piaciuta tantissimo ed ho continuato su questa strada.
Da grande faccio il musicista: ripercorrendo i tuoi ricordi, qual è stata la scintilla che ha acceso il tuo sogno di fare musica?
Sono nato in una famiglia di musicisti: i miei zii erano professori di musica, mia mamma cantava, mio nonno insegnava il violino. È venuto tutto automatico, la passione per la musica si è manifestata a sei anni: io e i miei cugini suonavamo partiture di Bach e di Beethoven, e quando mi chiedevano cosa avessi voluto fare da grande, io rispondevo: “da grande faccio il musicista!”.
Quando e come hai capito che il tuo sogno era diventato realtà?
Quando ho iniziato a vivere di musica. L’ho capito quando ho iniziato a fare venti concerti al mese e a vendere dischi…ma penso che l’avrebbe capito chiunque. È come se avessi aperto una porta con sopra la scritta “musica uguale lavoro”.
“Musica uguale lavoro”: se dovessi dare un consiglio a una persona che vorrebbe fare musica cosa diresti?
I consigli possono essere tanti e vanno anche presi come tali: nel senso che vanno ascoltati, sì, ma poi valutati in base a quello che la persona prova. Il consiglio che do spesso agli altri è legato principalmente alla parte artistica: accettare sempre i propri limiti, perché sono i più grandi alleati. Il limite determina l’originalità delle cose, e l’originalità dà più possibilità di riuscire nei proprio obiettivi. Lavorare dietro ai propri limiti ti fa fare le cose in maniera diversa: l’incapacità di farla in un modo ti spinge a trovare una soluzione originale.
Hai mai avuto ripensamenti sul tuo sogno di fare il musicista?
No, altrimenti avrei smesso. Sono entrato nell’ottica di fare musica quando avevo sei anni e sono ancora di questa idea. Se qualcuno, oggi, per scherzo, mi chiedesse: “Gianma, ma cosa vuoi fare da grande?”, io risponderei ancora: “Da grande faccio il musicista”.
Cosa ti aspetti dal pubblico di Da grande faccio il musicista?
Spero che il pubblico non si annoi. È un live molto intimo, io sarò solo sul palco a raccontare cose come se le raccontassi a un amico. Non parlerò solo della mia esperienza artistica in termini di progetti, ma sarà un racconto molto più ampio.
Tipo?
Tipo di quando a diciotto anni ho mollato tutto per andare a Londra, la città che per me era il centro della musica. Oppure di quando a quattordici anni sono entrato in quello che era il movimento artistico più famoso d’Italia: The Great Complotto.
A proposito di The Great Complotto, se ripensi ai tuoi esordi che sensazione rivivi?
È stato come entrare in un mondo magico, perché era letteralmente un mondo parallelo. Era un mondo quasi chiuso in un certo senso, che viveva con delle idee diverse da quelle degli altri, che ascoltava musica diversa dagli altri. Veramente: un mondo magico.
Una magia che ti ha accompagnato poi per il resto della tua carriera…
Sì, ovviamente con tutti gli alti bassi e con tutti i vari cambiamenti. Però posso dire che The Great Complotto ha amplificato la mia idea, la mia voglia di fare musica.