Torna la produzione di Gianluca Dingecco, in arte D.In.Ge.Cc.O, arriva in scena un disco come “Bacanadera” che come sempre veste di visioni filosofiche il pensare alla vita e alle sue derive, alle sue esperienze, al suo modo di starci dentro. Una parola che unisce il sapore di ritmi percussivi che tanto devono alla scena brasiliana, al Samba e ai primordi della cultura africana con sensazioni rituali, scenari tribali e antiche tradizioni. “Bacanadera” non può che essere, quindi, un disco fatto di ritmo e musicalità, di eccessi (anche sonori) ma anche di spiritualità e suggestioni mistiche, in cui l’elettronica fa da collante ad un immaginario musicale multietnico, caratterizzato da sonorità molto calde, dichiara lo stesso D.In.Ge.Cc.O. Che poi proprio la forma digitale manteca il tutto dentro quel senso virtuale che ormai la vita sfoggia anche dentro manifestazioni umane e primigenie.
“Bacanadera” è forse uno dei momenti della tua discografia di maggiore contaminazione. Cosa ne pensi?
Diciamo che, il tentativo di trovare nuovi linguaggi espressivi, attraverso la musica, mi ha sempre accompagnato sin dalle mie primissime produzioni. Quindi, chi mi conosce, sa che ho sempre considerato, le contaminazioni tra generi e stili, come una risorsa. Anzi ti dirò di più, a mio parere costituiscono la chiave di lettura della musica contemporanea e di quella prossima a venire.
Grazie alla tecnologia, oggi più che mai, ci si può addentrare verso terreni sconosciuti e immergersi in un processo creativo del tutto nuovo, caratterizzato da infinite possibilità. Sicuramente per dare corpo ad un processo creativo di questo tipo è necessario avere una certa apertura mentale ed una predisposizione di fondo verso la sperimentazione. Certamente, in “Bacanadera”, ci sono accostamenti che possono sembrare, a tratti, azzardati, tuttavia, alla fine, ci si rende conto di trovarsi in una “confort zone” dove tutto trova la sua forma, in un linguaggio espressivo coerente. Questo non era affatto scontato, lo so bene, ma è una cosa che mi riconoscono tutti e di cui sono molto soddisfatto.
Leggiamo tra le righe tantissime derive di cerimonie, di tradizioni, di ritualità. Mi arriva una dimensione anche magica. Sbaglio forse? Oppure cosa ti ha spinto verso queste derive?
Questa dimensione magica è parte integrante del disco, caratterizzata sicuramente, in primis, da un mio personale percorso interiore e da alcuni miei interessi specifici. Dall’altra parte invece, se ci rifletti, tutta la black music è impregnata di spiritualità e di magia. E’ un retaggio culturale che le è proprio. Le tradizioni tribali dei popoli africani, che sono stati costretti con la forza a lavorare come schiavi, erano intrise di magie e di un collegamento forte con la dimensione spirituale. Caratteristiche che non si sono mai perse nel corso dei secoli e all’interno della quale la musica, il ritmo, il canto, hanno sempre avuto una grande importanza come tramite tra la dimensione terrena e quella ultraterrena. Si pensi a come poi, con la conversione al cristianesimo di queste genti, deportate dall’africa, questa caratteristica abbia dato vita al gospel e a tutta la musica jazz con i suoi successivi derivati (funky, soul). Il collegamento tra la musica e la spiritualità è sempre stato un elemento indissolubile della black music.
Cos’è per davvero “Bacanadera”? Cosa ti ha spinto a cercare per davvero un simile nome?
Volevo un termine che desse il senso, proprio a livello onomatopeico, di quello che era il contenuto del disco, come suono della parola e della sua capacità evocativa. Credo che la fusione del termine “batucada” e del termine “baccanale”, non solo sia riuscito, a livello concettuale, ad esprimere al meglio l’atmosfera che si respira ascoltando il disco, ma che sia anche capace di suscitare un senso di mistero e di stupore. Così la ritmica tipica della prima musica brasiliana, la “batucada” appunto, quell’intercalare di tamburi e di percussioni che è alla base del Samba, si fonde con la potenza evocativa, orgiastica, dei baccanale degli antichi romani, momento rituale e mistico del mondo antico. Credo che questa sintesi sia piuttosto riuscita a rappresentare il mondo emozionale e musicale contenuto nel disco, non credi?
E poi il dualismo regna sovrano. Realtà e ritualità. L’individuo nella solitudine ma anche l’individuo nella ritualità popolare. E poi il suono… anche qui mi sono avventurato troppo?
Viviamo in mondo fatto di contraddizioni e di dualismi e “Bacanadera” è un disco figlio del suo tempo. Non ho mai desiderato fare degli “amarcord”, musicalmente parlando, richiamando alla memoria sensazioni o atmosfere della musica che è già stata, fini a se stessi. Il mio è sempre un tentativo di guardare al futuro partendo dal presente e dal passato. “Bacanadera” è un disco carico di vitalità ma anche di una certa malinconia di fondo, soprattutto in alcuni specifici brani. Una malinconia però vitale, ovvero che fa parte della vita, dell’esistenza di ciascuno di noi. La dualità tra la rappresentazione della realtà del presente e l’atmosfera sognante che si percepisce nel disco, è quella che dovrebbe fare da tramite per farci riflettere sull’epoca che stiamo vivendo, sulla necessità di ritrovare il contatto con noi stessi, con quello che realmente siamo, con quella che è la nostra anima. Siamo in una terra di mezzo, un momento storico in cui è sempre più necessario riallacciare i nodi con la nostra dimensione spirituale. Dici bene quando parli di ritualità popolare e di solitudine dell’individuo perché è un processo che riguarda il collettivo quello di cui parlo, l’umanità intera, ma che, necessariamente, parte da noi stessi, da quelle che sono davvero le nostre priorità esistenziali e da quella che è la nostra visione del mondo. Per intraprendere questo nuovo cammino non possiamo che ascoltare gli insegnamenti dei grandi del passato e dare valore all’eredità che ci ha lasciato chi ci ha preceduto.
Dal vivo Dingecco… cosa ci dobbiamo attendere e quando?
“Bacanadera”, dal vivo, sarebbe proprio un bell’impegno. È vero che tutto si può fare quando hai a disposizione una bella apparecchiatura, ma il mio desiderio sarebbe quello di avere dei musicisti che potessero suonare insieme a me. Il disco è piano di suoni registrati dal vivo, anche solo della durata di un secondo, su gentile concessione di amici musicisti e conoscenti, registrazioni che poi sono state rivisitate, stravolte e “piegate” alle mie visioni creative. Quindi, avere dei musicisti, in carne ed ossa, che suonassero dal vivo con me, in un ipotetico live, sarebbe rendere, al massimo, l’efficacia espressiva del mio lavoro. Attualmente, tutto questo, non l’ho previsto, un domani chissà.
Per ora mi dedico a quello che mi piace fare di più. Creare e comporre musica, seguire la mia vocazione ed essere libero di dare corpo alle mie visioni. Tutto questo nella ferma convinzione, o meglio, nella speranza, che, in generale, il modo di fare musica, di ascoltarla e di proporla, cambierà a velocità incredibile.