Si intitola “Maledetti ritornelli” questo nuovo bellissimo disco di Cristiana Verardo. Parliamo di pulizia e di semplicità, parliamo di collettivismo visto anche la lunga lista di nomi che hanno partecipato alla realizzazione – e dunque l’invito a spulciare il disco fisico e le tante news uscite a riguardo per investigare quante facce ha questo suono. E dunque il suono di Cristiana Verardo: l’Italia della bella melodia pop dolce agli spigoli, soffice nelle sue distese e nel suo vocabolario. E le bizzarre trovate “circensi” di un bellissimo brano come “La vita in un istante” si contrappone alla delicatezza orchestrale e sintetica di “3000 anni”. Ecco i due estremi di un disco che si pregia anche di un lungo video documentario che si intitola “Maledetti ritornelli – behind the song” prodotto da Teresa Film con il sostegno di Puglia Sounds Producers 2020/2021 per la regia di Giuseppe Pezzulla… cosa c’è dietro una canzone, cosa c’è dietro un viaggio, un incontro, una penna e la sua ispirazione. E qui svetta il duetto con Gnut proprio per la title track di questo bellissimo viaggio, umano, spirituale, artistico…
Quanti maledetti ritornelli ha la nostra vita quotidiana? Quanti ne vogliamo, di quanti abbiamo realmente bisogno?
Nella mie giornate ne conto tantissimi, da appena sveglia fino a che non vado a dormire e a volte non mi abbandonano nemmeno nei sogni. Per quanto mi riguarda ne farei serenamente a meno, i miei maledetti ritornelli mi offuscano la vista, sono prepotenti, si mettono in mezzo anche quando davanti mi si palesano situazioni di bellezza, anche in quei momenti sono li, sono degli impiccioni prepotenti.
Bellissimo il suono di questo lavoro… ci racconti della sua produzione?
E’ stata una gestazione abbastanza lenta durata due anni, il primo brano prodotto insieme a Filippo Bubbico è stato “Ti ho portato il mare”, la nostra prima esperienza di collaborazione che ha messo poi le basi per il prosieguo del lavoro insieme. Alcuni brani sono stati co-prodotti insieme a Carolina Bubbico, sorella nella vita e nell’arte, che ha impreziosito con passione e professionalità la mia musica. Per ogni brano abbiamo scelto il suono più adatto, posso dire che ogni canzone è un mondo a sé, il fil Rouge è la mia voce.
Che poi se mi permetti il lusso: possiamo parlare di lavoro collettivo?
Credo proprio di si, solo alla fine dei lavori mi sono accorta di aver coinvolto venticinque musicisti. La condivisione è la parte che più mi diverte di quello che faccio quindi non potevo non approfittarne in questo mio lavoro discografico. Mi immagino questo album come una grande tavolata in famiglia.
L’incontro con Gnut… e poi il documentario… cose che nascono a catena, dal caso, da un’idea iniziale?
È stato tutto premeditato. Mi piaceva l’idea di lavorare con questo artista con cui sentivo delle affinità molto potenti e ad oggi posso dire di non essermi sbagliata. Così l’ho contattato e il nostro primo incontro è avvenuto sotto lo sguardo della camera, non ci eravamo mai visti prima delle riprese del documentario, tutto è stato naturale e disinvolto. In tre giorni abbiamo scritto la nostra canzone “Maledetti ritornelli” che è la title track dell’Album.
Che poi un documentario che spiega come nasce una canzone… in realtà, canzone a parte, ha poco a che fare con il messaggio portante del disco o sbaglio?
In realtà ha un nesso molto forte con i “Maledetti ritornelli” se li intendiamo come la parte della canzone che sta più in superficie, che conoscono tutti. Allora volendo metaforizzare con il territorio salentino possiamo dire che i maledetti ritornelli sono le spiagge, “lu sule, lu mare lu ientu”, da qui l’idea di girare il documentario nei luoghi più nascosti del Salento, quelli che non stanno sulle copertine ma che restituiscono il più sincero profumo della mia terra.
Dal vivo? Porterai il “collettivo” su uno stesso palco?
Magari! Non è un’impresa molto semplice ma mi piacerebbe tanto. Per ora “Maledetti ritornelli” sta girando con un potentissimo quartetto nel quale ho coinvolto tre musicisti che stimo umanamente e professionalmente: Antonio De Donno, Andrea Musci e Giovanni Chirico.