Tutta l’atmosfera, tutto il fascino e il mistero di Soul Service, opera prima dei Cosmic Bloom, si può trovare nascosto nella splendida copertina dell’album, che meriterebbe di essere appesa ai muri delle vostre camere da letto, sopra il cuscino, per farvi entrare nei sogni migliori.
Tra le righe di colore, tra le linee che si incastrano, tra le immagini che si creano, sovrapposte, c’è la musica dei Cosmic Bloom, folk dall’animo psichedelico che nasconde, sotto il meraviglioso lavoro di violino (opera di Emma Grace Arkin) e flauto (ringraziate Pascal Le Pape) un’anima a tratti violenta, a tratti sognante. Perché se sono la chitarra acustica e la voce di Manuel Baldassare a formare la base sostanziale del sound (una sorta di Pearl Jam unplugged – “After all” è una “Black” in maggiore) l’originalità e la freschezza del prodotto sta tutto nell’atmosfera che emerge fra gli spazi vuoti della forma canzone, negli arrangiamenti dei suddetti strumenti e nelle linee melodiche impreziosite dagli splendidi controcanti di Emma Grace. Quando la scrittura e la voce portano verso il corpo, tra l’aggressività di “Moon scrape” o il flower power di “Emma Grace”, sono i voli strumentali ad alleggerire il peso fisico della musica: l’opener “W.ar.s.” e la conclusiva “The absent” sono il perfetto manifesto di questo contrasto. Ideale punto di incontro tra i ’60s e i ’90s, tra Eddie Vedder e gli It’s a beautiful day (chissà se qualcuno se li ricorda…), i Cosmic Bloom regalano un piccolo gioiellino di rarefatta bellezza, da godere tutto d’un fiato o a piccole dosi.
Riccardo De Stefano