– di Riccardo De Stefano –
Sanremo 2025, ciao ciao, è stato bello (più o meno).
Adesso che abbiamo aggiornato le varie pagine Wikipedia, rimane il tempo di un commento finale, che in teoria dovrebbe riassumere l’esperienza e provare a tracciare una linea per il futuro.
Sicuramente, Carlo Conti ne è uscito alla grande: prendere l’eredità di Amadeus era impegnativo, ma i numeri sono dalla sua e il ritmo e gli orari rispettati sono sintomo di una conduzione che funziona, e di una direzione artistica sensata.
UN SANREMO COERENTE E STUPEFACENTE
Ecco, la direzione artistica: i nomi portati quest’anno, come sempre, sono stati trasversali, prendendo qui e là dalla musica italiana – tanto dal mainstream quanto dalla nicchia – ma ci hanno mostrato molti artisti che si sono realmente giocati le chance di vincere, quindi di conquistare il pubblico generalista, quasi pariteticamente.
Nel grande battage che ha preceduto e poi seguito ogni singola puntata, è stato ovunque un profluvio di libere opinioni: vince Cristicchi, vince Giorgia, vince Achille Lauro, vince Fedez, vince Olly.
Ma se mi avessero detto anche solo mercoledì la cinquina finale, non ci avrei mai creduto.
CANTAUTORI VS SOLITI NOTI
D’accordo, Olly ha vinto e chissà come mai (forse l’effetto incrociato della canzone e del management di Marta Donà/Latarma? Chissà), ma vedere Lucio Corsi secondo, e per una manciata di voti, con Brunori Sas terzo, il Fedez più sincero e autentico di sempre e un Cristicchi stucchevole, ma decisamente cantautorale… beh, a me sembra un miracolo.
E mi sembra un miracolo perché la liturgia che ci hanno cantato in questi ultimi anni è che le canzoni vanno scritte da QUELLE persone. Federica Abbate, Davide Simonetta, Davide “Tropico” Petrella, Jacopo Ettorre ormai storicizzati, a cui si aggiungono Blanco e Michelangelo a spalmare la propria firma su un terzo delle canzoni in gara.
Loro devono scrivere quelle canzoni perché sono gli autori “ufficiali” delle major, quelli che garantiscono i risultati e che devono spartirsi i diritti d’autore.
L’ODIOSA FABBRICA DEL POP
In fondo, lo sappiamo: ci vogliono per forza almeno cinque persone per scrivere una canzone. Devi chiuderti in delle session di scrittura con producer, beatmaker, topliner, lyricist, un sacco di gente che ti dice che “forse così la tua canzone gira meglio” e che se cambi questa cosa qui e metti questa cosa là, “forse la tua canzone arriva di più”. Poi a un certo punto ti rendi conto che la tua canzone non è più la tua (sempre che tu ci abbia mai messo mano, ovviamente).
Così ci rimpinzano di brani tutti uguali, tutti brutti uguali, che durano il tempo di essere ascoltati, masticati dal pubblico di massa indistintamente, digeriti ed espulsi dalla parte meno nobile del corpo umano per ripetere il processo, in questa sfiancante corsa continua a chi tiene l’attenzione del pubblico più a lungo.
I MAGNIFICI CINQUE
Ecco, poi vedi la cinquina finale di Sanremo e brillano gli occhi. Cinque artisti, di cui tre puramente cantautori (Corsi, Brunori, Cristicchi), Fedez che porta una versione teatralizzata di sé, ma molto lontana dal pop generico a cui ci aveva abituato e Olly, che vince (ma non convince) con “Balorda nostalgia”, una canzone comunque scritta da lui e pochi altri («Testi di Federico Olivieri, musiche di Federico Olivieri, Julien Boverod e Pierfrancesco Pasini», ci dice Wikipedia).
È stato detto che sono gli outsider a sbancare a Sanremo. Ma questi outsider hanno semplicemente portato sul palco quello che sono sempre stati, da anni se non decenni. E Lucio Corsi, con la sua deliziosa “Volevo essere un duro”, viene dalla Sugar, non da qualche piccola etichetta sconosciuta. Brunori Sas, che porta “L’albero delle noci” (non il suo brano migliore, ma anni luce dal resto) suona dal 2008 in giro per l’Italia, e sette anni fa aveva un programma televisivo in Rai (Brunori Sa).
Che sia, forse, questa la risposta migliore al brutto pop di oggi?
DIAMO ATTENZIONE AL TALENTO, PER FAVORE
Che forse a raccontare con attenzione, a dare lo spazio giusto agli autori, alle parole, alle canzoni, a chi ha qualcosa da dire, il pubblico generalista – lo stesso che mangia distrattamente e pigramente quello che gli viene buttato sul piatto – premia il talento e la sincerità artistica?
Non sono sicuro che questo Sanremo possa essere la risposta alla crisi umana e artistica che ha avviluppato la musica italiana dal COVID in poi. So però che l’enorme bugia che ci è stata raccontata, cioè che il pop mainstream è materia scientifica che si può fare a tavolino e che porta dei risultati, almeno per una settimana è stata smentita.
UNA NUOVA SPERANZA
E che la speranza sia quella che questo sistema malato e sporco possa imparare una lezione: investite su persone di talento. Investite sulle storie personali, su chi ha qualcosa da dire, lasciate spazio agli artisti di esprimersi, di raccontarsi, non state lì con la penna rossa in mano a sottolineare quello che non va.
Perché il pubblico sarà anche addomesticato, ma non è stupido. Riconosce distintamente chi sta lì per dire qualcosa e chi è piazzato a caso.
Si può fare, è stato fatto, facciamolo. Rendiamo famosi gli artisti validi, lasciamoli lavorare con la speranza che possano fare scuola, raccontiamo ancora una musica italiana con personalità, e non patetica mimesi del mercato internazionale, vuota maschera di qualcosa che non dovrebbe essere.
Mettiamoci dalla parte giusta della Storia.