– di Martina Zaralli –
C’è un legame indissolubile tra i luoghi di quando eravamo bambini e le persone che siamo diventate. Lo sa benissimo Giulia Mei, cantautrice di Palermo, che porta la sua Sicilia nelle sue parole e nelle sue musiche. Classe 1993, Giulia Mei si avvicina al canto e al pianoforte all’età di nove anni, una passione che diventa prima studio presso il Conservatorio Vincenzo Bellini della sua città (ora Conservatorio Alessandro Scarlatti) e poi lavoro. Dopo un primo EP, “Pianopiano” (2016) arriva anche il primo disco della sua carriera, “Diventeremo Adulti” (2019); nel frattempo partecipa a numerosi concorsi prestigiosi per la canzone d’autore, come Musicultura, dove vince il Premio del Pubblico nel 2016, il Premio Tenco, per il quale concorre come miglior album esordiente nel 2019, il Meeting delle Etichette Indipendenti dove, sempre nel 2019, si aggiudica il premio come miglior artista esordiente femminile. Infine, nel 2021 conquista la giuria del concorso Genova per Voi, grazie al quale firma un contratto editoriale Universal Music Publishing. Sempre nel 2021, pubblica i singoli “MAMMA!” e “S. Rosalia”: per quest’ultimo l’abbiamo raggiunta al telefono per saperne di più su un giorno di festa diventato canzone.
“S. Rosalia”: come e quando è nata la canzone?
La canzone è nata nel 2019, durante il giorno di Santa Rosalia, che si festeggia il 14 luglio: è un giorno molto importante per la città di Palermo e per tutte le persone che ci vivono. Per me, quello di due anni fa era anche un giorno molto triste: da lì a poco sarei partita per trasferirmi a Bologna. L’idea di lasciare la mia città mi incupiva perché voleva dire lasciare il mio vissuto, i miei affetti; quindi ho voluto raccontare quel giorno cantando un flusso di coscienza, fotografando Palermo in una giornata particolare e lasciandole così una sorta di lettera d’amore. “S. Rosalia” se da una parte è una dedica a tutti quei posti che rimangono nel cuore, dall’altra rappresenta anche i dubbi, le domande, che assillano la mente di chi si allontana dalla vecchia strada per qualcosa di nuovo e ignoto: «Ti aspetterò, mi aspetterai», scrivo nel ritornello, con un po’ di malinconia e un po’ di rabbia, tipiche di una generazione che per lavorare spesso deve andare altrove.
Al di là della canzone, cosa rappresenta la festa Santa Rosalia per te?
La festa di Santa Rosalia per me rappresenta Palermo. Anzi, è proprio Palermo in tutte le sue sfaccettature. È una città particolare piena di contraddizioni: dietro uno scorcio meraviglioso spesso si nasconde il peggiore angolo che tu abbia mai visto. La festa rappresenta Palermo perché c’è tutta la città con tutta la sua gente, così diversa, nelle strade: è una festa che unisce tutti, e per me è una cosa meravigliosa. Ogni anno, poi, c’è un carro, fatto appositamente dagli artigiani, che porta la Santuzza: cioè che porta la statua della Santa nel centro storico, passando tra le tante vie della città, con la gente che l’accompagna. Tra le tante persone e il caldo di luglio sembra di fare una processione in apnea: è davvero una giornata molto particolare per la città di Palermo, posso dire che è un giorno a sé rispetto a tutti gli altri giorni dell’anno. Direi che è una giornata mistica: tutto si interrompe per festeggiare Santa Rosalia.
Nella canzone ci sono riferimenti ai giochi d’infanzia: volendo fare un viaggio nel tempo, qual è il primo ricordo che hai di Palermo tra feste sacre e profane?
Non è un ricordo legato propriamente alla tradizione mia città, anche se è accaduto a Palermo. Ricordo di un Carnevale, in zona Mondello, al mare, e di una lunga sfilata di carri con figure o temi scelti anno per anno. Con mia sorella e mia cugina cercavano dei costumi per rappresentare il Brasile, ce li siamo fatti fare su misura in una sartoria, perché non si trovavano facilmente. Ricordo di una sensazione bellissima, di festa, piena di colori. È proprio vero: la meraviglia che hai da bambino non tornerà mai da adulti.
Il brano si chiude con: «Palermo non è fatta per i deboli di cuore», che vuol dire?
Un po’ per quello che dicevo prima. Palermo è davvero una città particolare. Per quanto il clima sia straordinario e la città sia piena di posti stupendi, allo stesso tempo, non è vivibile. Puoi trovare tutto e il contrario di tutto. Palermo è piena di contraddizioni: chi ci vive prova un senso di impotenza davanti all’impossibilità, o comunque alle difficoltà, di cambiare le cose. Diciamo che facciamo molto fatica a osservare inermi le storture di una bella città.
Che rapporto c’è tra la tua terra e le tue canzoni?
C’è un rapporto molto forte, al di là della canzone “S. Rosalia” in cui è anche accentuato. In generale, però, è un legame che mi porto dietro anche nel modo parlare, di cantare e di scrivere, ad esempio utilizzo dei modi di dire alcune cose che sono tipici della Sicilia. Penso che il fatto di essere nata a Palermo influenzi molto la mia persona e – se vogliamo – anche la mia carriera: anche nel mio primo disco, “Diventeremo Adulti”, ci sono delle sfumature della mia terra. Poi in “S. Rosalia” ho voluto ribadire le mie origini, non nascondendo per nulla il mio accento. Per il futuro, voglio che c’entri tanto il fatto di essere palermitana con il mio essere cantautrice.
Cosa succederà dopo questa canzone?
Ti posso dire quello che spera che succeda: terminare il mio nuovo disco, il secondo della mia carriera, poterlo pubblicare e organizzare una serie di live con la mia band. Sono impegnata anche su altri progetti, che riguardano il teatro, di cui sono interprete: “La buona novella” di de André in siciliano e “80VogliaDiMina”, che spero girino tantissimo nel 2022.