– di Michela Moramarco –
Cinema Samuele è il nono album del cantautore Samuele Bersani. E questo forse, lo sapevate già.
Ora vi racconto com’è andato il mio ascolto di questo album – diciamolo – straordinario. Sì, perché Cinema Samuele esce dagli schemi dell’ordinario. Dopo una pausa di sette anni il cantautore ritorna in scena con un album che richiede un ascolto a cui forse non siamo più abituati. Siamo costretti a vivere in un mondo di uscite discografiche frenetiche, ascoltarle tutte è diventato impossibile e pare che non resti altro che piegarsi alle aspre leggi delle playlist editoriali.
Ma non è sempre così. Cinema Samuele infatti si pone già come quell’album che bisogna ascoltare. Assolutamente. Imperativo categorico. E sto per svelarvi il perché.
Il mio primo ascolto, lo ammetto, non è stato semplice anzi, a tratti quasi faticoso. Ho provato ad ascoltare i dieci brani di seguito. Un po’ frastornata, non ho colto da subito la peculiarità delle scelte dell’artista.
Il secondo ascolto è andato diversamente. Occhi chiusi e la mente è entrata in una sorta di meditazione, guidata dalle note crepuscolari del brano Pixel, che sembra essere scandito da un ritmo simile al battito cardiaco leggermente in affanno, come il battito di chi sta per rivelare qualcosa.
Alcune tracce dell’album iniziano in modo un po’ “distopico”, quasi elettronico e poi diventano assimilabili a delle favole caratterizzate da una voce narrante profonda, leggermente grave ma fortemente evocativa.
Direi una Mezza bugia se scrivessi che le metafore raccontate sono troppo articolate. L’altra metà è che sono assolutamente azzeccate nello svolgimento complessivo del racconto.
Non manca un registro musicale con un accenno classicheggiante, almeno nell’incipit del brano Il tuo ricordo e in Con te. Ma questo fattore di variabilità è abilmente contestualizzato con parole che suscitano riflessioni taglienti. Sul passato che passa e “non paga nemmeno il biglietto, prima; poi ovviamente, sul motore immobile che da sempre smuove i poeti – sì i cantautori sono (quasi) tutti poeti – l’amore.
Ma ascoltando attentamente l’album mi sono accorta di tanti altri elementi.
Dunque, Harakiri l’avevamo già ascoltata. Il titolo forse non è casuale: il brano lacera “cuori già troppo pulsanti” e spaventati. Elemento oggettivo: è coerente con la poetica di Samuele Bersani. Elemento soggettivo: il brano, essendo stato scelto come singolo ad annunciare Cinema Samuele appare nel complesso quello più adatto a preparare gli ascoltatori al resto dei brani, palesemente più articolati.
Non poteva mancare un brano dall’intento edificante come Scorrimento verticale che sembra essere una critica ad una società lobotomizzata dall’assuefazione da cristalli liquidi in cui, sia chiaro, non ci si può tuffare, come ricorda il cantautore.
Insomma, sto per concludere l’ascolto dell’album o meglio, la visione dei vari cortometraggi che costituiscono il Cinema Samuele. Sto per cedere, tante immagini e trame da ricordare. Mi sento come quando vuoi finire una stagione di una serie TV tutta d’un fiato. E a volte ci riesci.
E infatti arrivo a L’intervista la penultima traccia. In un limbo di sollievo e dispiacere, ascolto questo racconto dialettico tra artista e intervistatore. Sarò di parte, ma forse è l’unico che ho apprezzato del tutto al primo ascolto.
Ci sono. L’ultima e non ultima traccia Distopici (Ti sto vicino) è da ascoltare, non fosse altro che per il gioco di parole che contiene.
Devo concludere. Mi sembra di essere stata davanti a un proiettore di mille immagini e micro-trame. Mi sento come quando si va al cinema e si vede un film di quattro ore e alla fine non sai quasi più chi sei. Solo che le immagini, in questo caso, sono parole. E la colonna sonora si regge da sola.
Quando le canzoni si raccontano da sole, con immagini che appaiono davanti agli occhi chiusi, posso dire finalmente che – dopo almeno sei-sette ascolti, mi sono emozionata.
Ciao Samuele, missione compiuta.