– di Martina Rossato
foto di Andrea Forgione –
Ci fu un tempo in cui non ero mai stata ad un live. All’epoca potevo solo immaginare le emozioni che si provano a stare sottopalco. Poi la dipendenza, e ad ora non penso riuscirei a vivere senza.
Fin dal primo concerto, mi ero resa conto quanto mi fossi persa fino a quel momento. Vero: c’è caos, la lunghezza infinita della coda per entrare è innegabile e confermo anche che c’è calca, sempre e comunque, ma niente al mondo è paragonabile ad avere l’artista lì davanti, in carne ed ossa, e al sentire la musica che rimbomba sul petto.
Col tempo ho imparato anche a capire che, sì, andare ai concerti è (quasi) sempre bello, ma la cosa migliore è che ogni concerto è un’esperienza unica. Sentire i Coma_Cose (tornati ad essere la colonna sonora della mia vita da Sanremo ad oggi, insieme agli immancabili Baustelle) il 19 aprile al Fabrique mi ha fatta riflettere proprio su questo aspetto.
California e Fausto Lama salgono sul palco portando un’energia incredibile, che scalda il pubblico fin dai primissimi pezzi. In questa stessa venue ho assistito ad altri concerti, ma non c’è niente da fare: l’energia stavolta è diversa. L’atmosfera è bellissima, i Coma_Cose sono spettacolari a tenere il pubblico ed è bellissimo vedere i loro sguardi incrociarsi.
Noto che il pubblico non è affatto come me lo aspettavo: c’è gente di ogni età, che si diverte a modo suo. Di fianco a me, un signore sulla cinquantina controlla i risultati della partita di calcio mentre grida a squarciagola «E comunque andrà, l’addio non è una possibilità». Una ragazza sulla trentina non fa altro che muovere la testa a tempo di musica, completamente rapita. Una coppia passa il concerto abbracciata e (mi piace pensare che sia andata così) versa qualche lacrima sui pezzi più dolci.
La cosa a cui non smetterò mai di far caso è però un’altra: i cellulari. Sarà che sono bassa (e non aiuta), ma ho visto la maggior parte del concerto attraverso lo schermo del cellulare delle persone davanti a me. Forse non è necessario arrivare a vietare di portare i cellulari in sala, ma sicuramente fa riflettere sul modo in cui viviamo la musica e l’arte nel 2023.
Durante il lockdown eravamo costretti in casa: pc, tablet e cellulari erano l’unico modo per fruire della musica. Io stessa a partire da quel momento sono diventata ancora più dipendente dalla tecnologia. Ma una volta finito quell’incubo, mi viene solo da chiedermi quante volte rivedremo effettivamente quei video dopo averli postati su Instagram e quante volte invece ripenseremo al concerto, senza bisogno di scavare nella galleria.