Un viaggio mentale e personale nell’ultima uscita del duo siciliano, alla ricerca di un percorso e di una musicalità sinceramente pop.
– di Roberto Callipari –
Avvertenza: quanto segue non vuole avere il valore di recensione e/o critica, ma vuole essere una riflessione e per tale va presa, ovvero come qualcosa di personale.
Il 3 novembre è uscito “Lux Eterna Beach“, il secondo capitolo della saga che vede appaiati Lorenzo Urciullo e Antonio Di Martino, rispettivamente Colapesce e Dimartino, in un cammino fatto di sorprese e rovesciamento di aspettative nella scena italiana.
Magari parlare di “scena italiana” in senso ampio sembrerà un azzardo, o magari una presa di posizione che dimostra già una certa voglia di schierarsi da una parte – sempre più facile e quasi necessario oggi, in tutti gli ambiti – ma in realtà parliamo di due artisti che sono entrati in punta di piedi (neanche troppo) nel mainstream e che hanno saputo giocarci, facendoci un po’ quello che gli sembrava più adatto (vedi varie collaborazioni più o meno giocose, come quelle con Fabri Fibra o Ornella Vanoni).
E pensare che, da dove erano partiti, che da come li ricordavamo, Sanremo e tutto quello che ne è seguito, ci sembrava abbastanza strano. Certo, sono sicuro che con le uscite di “Infedele” e del suo “compendio” per Colapesce e “Afrodite” per Dimartino (ultimi album da solisti prima del matrimonio artistico) avevamo un po’ la sensazione che qualcosa stesse cambiando: non solo la ricerca e l’omaggio al “Maestro” Battiato che da loro, figli della stessa terra dell’autore de “La voce del padrone”, poteva sembrare scontata, ma anche lo studio di una musicalità diversa, anche se non direi nuova, magari più attenta a una serie di variabili che, una volta unite, avrebbero potuto produrre qualcosa di più genuino, nel senso di più fedele a quella che era la loro idea d’arte.
Di certo “I mortali” e la successiva riedizione, ampliata per la speciale occasione della partecipazione al festival di Sanremo 2021, avevano già dato ampio sfogo a quella complessità, tutta umana e tutta artistica, mostrando quanto c’era nella loro realtà così “indie” (ma magari non usiamola ‘sta parola per loro…), come direbbe qualcuno, ma così personale (di certo “alternativa”), direbbe il sottoscritto.
È per questo che l’uscita di “La luce che sfiora di taglio la spiaggia”, primo singolo ad annunciare il nuovo album, mi aveva entusiasmato, ma non sorpreso, perché quando la premessa non è tradizionale, magari folle, può davvero succedere di tutto, anche annunciare un album con una traccia antiradiofonica, con i suoi sei minuti e venti secondi di volo fra cantautorato e Radiohead, fra onirico e tecnico, fra appartenenza e voglia di scoprirsi anche lontani da tante logiche.
In realtà in questo limbo vive un po’ tutto il disco, fra scelte tecnico-stilistiche mooolto italiane (stavolta citiamo Stanis, concedetemelo) ed altre decisamente più internazionali che, variando molto spesso anche di traccia in traccia, rendono il tutto molto offuscato, a volte difficile da carpire e, per questo, molto umano. Perché, diciamoci la verità: la perfezione non è di questo mondo, e nemmeno la coerenza.
“Lux eterna beach” è il manifesto di chi si vuole sentire diverso ogni giorno, o di chi ci si sente suo malgrado (ma va anche bene così, tranquilli) e ha bisogno di mettere su carta, su corde, su disco, tutte le proprie insicurezze, i propri momenti di gloria ma anche di buio totale. Per questo, per me, appassionato ascoltatore del duo prima ancora del duo, questo disco è stato molto sofferto e molto appassionante al tempo stesso. Riscoprire e ritrovare questa profonda voglia di una vita autentica è qualcosa che manca, in una scena che ci vuole “paillettati”, luccicanti, pronti alla spiaggia l’estate e alla discoteca l’inverno. Colapesce e Dimartino rivendicano il diritto alla noia, alla pigrizia, alla solitudine come pausa e cura di un cuore malconcio, anche quando si fanno più sanremesi, come in “Splash” ovviamente, ma anche come in “Sesso e architettura”, altro brano che, probabilmente, alla kermesse non avrebbe vinto, ma sicuramente avrebbe dato grandi gioie ai due siciliani e a tutto il loro staff. Ma ancora: la voglia di essere se stessi indipendentemente da tutto, con arrangiamenti non sempre “pop-friendly”; i feat/non-feat, come lo splendido lavoro fatto attorno alle parole e la voce del mai troppo compianto Ivan Graziani, che proprio in un disco così umano regala un’immagine di sé e della sua musica di grande sensibilità e tenerezza in “I marinai“.
Amico pesce, fatti catturare.
Sì, lo so che tu sei libero come me
Mi dispiace, stavolta tocca a te.
Ovviamente tanto in questa riflessione è stato lasciato per strada, e basta pensare al film evento, “La primavera della mia vita”, che, rivisto oggi, dà una dimensione ancora più precisa di quella indipendenza, mentale ed artistica, che “Lux eterna beach” sembra vivere, ed è tutto nelle parole dei due protagonisti che, nella voce dei loro (nemmeno troppo) personaggi cinematografici che danno libero sfogo a tutto il loro mondo interiore, come nei litigi – “Ti pare che dopo vent’anni di frustrazione appresso alla scena indipendente voglio tornare a fare la fame? Ma per cosa? Per l’integrità? Per i contenuti? Per cosa? Tanto la gente non ha memoria, ascolta sempre la stessa merda!” – o nei momenti più pacati in cui, proprio sulla Lux Aeterna Beach, si e ci preparano all’arrivo del nuovo disco, dichiarandone quasi le intenzioni – “Perché non facciamo un bel disco libero, senza pensare ai numeri, fuori dal tempo?”.
Questo, quindi, può e deve essere un invito ad ascoltare un disco in maniera diversa, che non sia solamente quella maniera passiva, da radio o ancora di più da playlist, ma quella di prendere un album oltre l’hype, oltre il nome, oltre le etichette, in un momento e in una scena in cui, se sei il personaggio giusto con la campagna e le trovate giuste, basta fare il minimo per ottenere il massimo, molto spesso anche con la partecipazione di radio-televisioni nazionali, che si accodano alla campagna pur di creare movimento, pur di starci e di “svecchiarsi”, anche quando il prodotto non è certo l’ultimo singolo dei Beatles…
Ascoltatevi ‘sto “Lux eterna beach” e voletegli tanto bene. Ascoltatelo se vi piacciono Colapesce e Dimartino e se vi piacevano prima di iniziare questo splendido percorso assieme; ascoltatelo se volete un disco composto da molteplici livelli diversi, se volete solo cantare a squarciagola in doccia o se avete bisogno di ritrovare un po’ di vita perduta; ascoltatelo per trovare un nuovo instant classic, o magari no – non sono bravo con le previsioni, ma mai dire mai; ascoltatelo se avete voglia di ritrovare qualcosa di quei dischi assurdi del Battisti post-“Amore Non Amore”; ascoltatelo perché le strumentali sono pazzesche, e coesistono perfettamente coi brani con testo; ascoltatelo perché c’è tanta musica, tanto suonata.
Infine, ascoltatelo perché non è perfetto, ma è onesto.
Ascoltatelo perché è un disco vero, uno di quelli di cui abbiamo davvero bisogno, sempre di più.