D: Sono in continuo scontro col mio presente. Quando è nata ad esempio mia figlia, il mio presente è diventato concreto, è venuto a chiedere il conto della mia adolescenza. Adesso devi prenderti cura di qualcuno che sarà adolescente. Il presente viene di continuo e non può non entrare in quello che scrivo. La canzone è un fatto istintivo, butta fuori in maniera istintiva una serie di opinioni, esperienze, situazione sommesse, che a un certo punto devi fare rientrare in una linea melodica. Non posso dire neanche che l’adolescenza non entri nella mia scrittura: dai 14 ai 18 anni sono successe cose che hanno condizionato il mio modo di scrivere e vedere la vita, più di quanto abbiano contato gli anni dai 28 ai 35. Quegli anni formano pensieri e esplorano esperienze che ti portano a formarti: da quel momento l’essere umano sa chi è e cosa vuole fare, cosa gli piace e cosa no. Per me, sia l’adolescenza che il presente entrano nelle canzoni e in questo disco. In I Mortali il mio presente e l’adolescenza si sono unite a quelle di Lorenzo, creando dei pensieri di una terza identità che si è ritrovata a cantare canzoni scritte da altri due.
C: Il pop è adolescente. Siamo pieni dell’immaginario adolescenziale. Molta musica che ascolto io, o sono robe iper moderne o sono cose scritte in un periodo giovane dell’artista. Di Neil Young i primi 5 dischi sono la Bibbia. Siamo affascinati da quel periodo, è il periodo del cambiamento, dello scontro con tutti, dalla famiglia, alla società, agli ideali. Si forma l’Uomo: la vera nascita avviene lì, la nascita biologica non hai coscienza, ma quando prendi coscienza è l’inizio. Si fanno degli sbagli eclatanti, mentre la maturità appiattisce tutto: subentrano cose bellissime, però il vero momento in cui cambia tutto è quello. in adolescenza nera diciamo “tutto perfetto nell’essere sbagliato”, cioè tutto è perfetto anche quando fai cazzate epocali, dai 13 ai 18 anni. Poi “Thirteen” dei Big Star è il pezzo più bello della musica e parla appunto di due tredicenni.
Il discorso della mortalità ci porta ibevitabilmente alla morte stessa. C’è questa tensione di Eros e Thanatos, “L’ultimo giorno” sovrappone la fine del mondo con la fine della scuola, oltre a “Rosa e Olindo” forse davvero il punto di contatto tra amore e morte. Un disco che cerca di essere pop tende sempre alla tematica della morte?
C: La sfida era quella, parlare di morte, la cosa più lontana dal pop, in un contesto pop. Il pop è ottimista, preso bene, a noi piaceva parlarne, non per inserire un argomento negativo, che spesso viene demonizzato come cosa brutta, invece fa parte della vita. Spesso si omette la morte, perché collegata al dolore, così tendiamo a cancellarla: noi volevamo prendere atto di questa cosa naturale e inserirla in un contesto pop, in una società dove si tende all’immortalità, addirittura usando filtri per ringiovanire. Abbiamo perso il legame con la Terra e la nostra scomparsa, invece dovrebbe tornare a far parte degli argomenti di oggi. Dovrebbero farne una materia a scuola, l’ora di “Morte”! (risate ndr) Dove parli solo di questo. Io e Antonio siamo appassionati di Bufalino, un grande esperto di morte! Tutti i suoi libri sono permeati di questo, dal suo primo romanzo, “Diceria dell’untore”, fino alle sue massime, ha sempre avuto questo modo di trattare la morte in maniera ironica, diceva sempre “siamo dei morti in incubazione”. Inconsciamente ci siamo resi conto di molte cose lavorando al disco: il flusso creativo e la scrittura non sono immediati, però si crea un’energia particolare quando lavori bene con qualcuno, un flusso di idee che naturalmente va a convergere in un luogo dove entrambi ci siamo sentiti comodi e a nostro agio… la Morte! (risate)
D: Pensando a Bufalino c’è un aforisma “Dio ha inventato la Morte per farsi perdonare la Vita”. L’idea dell’Amore e della Morte è interessante. Un disco che si chiama I Mortali sembra che non possa avere amore, ma il connubio amore e morte c’è in molte canzoni. Non si può parlare del mortale se non prendi il considerazione il suo rapporto con l’Amore. Penso che un essere umano inizia a morire nel momento in cui non si innamora più: l’uomo che ha paura di morire si innamora, ha sempre voglia di innamorarsi, se non temi la morte non vuoi neanche l’amore nella tua vita. Nel disco c’è il senso della fine perché c’è la consapevolezza che siamo esseri portati all’innamoramento verso il mondo.
“Rosa e Olindo” sono la visione della morte e dell’amore, oltre quello romantico, adolescenziale, di quell’amore di due persone mature che hanno portato morte eppure così visceralmente uniti, in una maniera grottescamente romantica.
D: C’è qualcosa che supera la morte o la condanna all’ergastolo. Rosa e Olindo decidono che è più tragico scontare la condanna in due carceri separati piuttosto che la condanna in sé. Hanno paura di passare il resto della vita separati, così Olindo ha chiesto di avere una cella matrimoniale. Volevamo scrivere una canzone che non riguardasse i fatti nostri, ma di due personaggi conosciuto che dimostrassero l’attaccamento all’amore, più ancora delle pene da scontare. Una storia d’amore da Romeo e Giulietta d’oggi, un amore 2.0. Non volevamo prendere posizioni rispetto la strage ovviamente, quanto solo raccontare una parte della questione: vediamo solo i condannati e mai quello che c’è dietro, non siamo abituati a soffermarci sulle sfumature: a noi la mano di Olindo che accarezza Rosa ha stimolato tenerezza, al di là della condanna.
Svetta nel disco l’ombra lunga della Sicilia. Com’è cantare della Sicilia in un momento così difficile e delicato? Che Sicilia è quella che raccontate?
C: Ci allontaniamo dall’aspetto folkloristico: questa Sicilia è lo sfondo dove succedono le nostre canzoni. Non ci sono dei riferimenti politici diretti alla Sicilia, o meglio ci sono, ma velati. in “Majorana” i due giovani sono scomparsi da un po’ e lì si apre la voragine di chi è dovuto andare lontano, perché qui non c’è lavoro. Però parlare di queste cose sarebbe retorico, le canzoni non dovrebbero entrare nei giudizi su cosa fare, per quello ci sono i politici che lo fanno bene o male, purtroppo da noi lo fanno male, ma non vogliamo recriminarne sul disco. C’è la politica, ma devi leggerla.
È anche dichiarata questa assenza della politica, in “Cicale” oltre che “Il prossimo semestre”.
C: “Paese che vai, stronzi che trovi” è una dichiarazione semplice ma ha un peso specifico, che non va neanche spiegato. È comunque un momento drammatico per la Sicilia, con i Beni Culturali in mano alla Lega… ma lo dico da cittadino e non da cantautore.
D: La Sicilia per noi non è mai stata folkloristica, di sole, di mare, e di quell’immaginario che ci va stretto, come il nuovo spot della regione Sicilia. Non si può raccontare la Sicilia nello stesso modo da 200 anni, dobbiamo cambiare il contenuto. Come le serie sulla Mafia che raccontano solo un aspetto della Storia, e che fanno più male che bene. Quando invece è raccontata dagli scrittori, tipo Vettorini, Bufalino, Consolo, la Sicilia smette di essere un luogo geografico ma uno scenario, potrebbe essere qualsiasi posto, perché ha le caratteristiche del luogo incontaminato ma al contempo contaminato da tantissime storie, dominazioni e quindi pieno di spunti e risorse, leggende. Se penso alla Chiesa della Martorana, una chiesa araba che ha un rito cristiano… c’è una mistura di popolazioni che l’hanno arricchita. La Sicilia rispetto alle altre regioni a livello politico ha sempre giocato un ruolo fondamentale, come se sia stata sempre la porta dell’Italia. Quando l’Italia incomincerà a sentirsi il centro del Mediterraneo com’era prima, allora potrà cambiare, ma ancora non è stata fatta nessuna politica inclusiva sull’immigrazione. La Sicilia si è trovata ad essere come un luogo aperto incapace di sfruttare le risorse di tutti gli uomini arrivati. Noi siciliani lo sentiamo il peso di vivere in una terra importante, storicamente e politicamente. Andrebbe raccontata con una visione molto personale, tralasciando gli stereotipi, che l’hanno resa una terra banale, raccontata in maniera banale. Ma c’è chi l’ha raccontata bene.