di Riccardo De Stefano
Passati due anni da Niente che non va, Coez lo dichiara, ma non lo fa: Faccio un casino è tutto, tranne che un caos. Vero, c’è il rap, c’è la canzone pop, d’autore, ci sono i beat, i testi aggressivi e quelli smielati. Ma l’elemento che lega tutto quanto è la cantabilità del disco: forse per la collaborazione con Niccolò Contessa de I Cani, i brani, melodicamente obliqui, acquistano questa aura crepuscolare, vellutata, che sussurra più che dichiarare e accoglie più che allontanare. Si sente la mano dell’autore di Aurora nei brani scritti insieme, la più innocua title track “Faccio un casino” e le radiofoniche – e vincenti – “La musica non c’è” o “Delusa da me” (tra le mie preferite). Poi c’è il Coez “Still fenomeno”, che apre e chiude il disco per rivendicare un passato che non giace sepolto tra le tracce, come ben sottolineato nella conclusiva “Mille fogli” e nei featuring con Gemello (“Taciturnal”), Gemitaiz, scatenato in “Occhiali scuri” e Lucci, compagno di una vita nei Brokenspeakers in “Un sorso d’Ipa” (“chi è cambiato in questi anni? Io forse no”). Indie, rap? Pop, elettronica? Forse tutto, forse niente. Sta di fatto, se brani come “E yo mamma” – che uccide il cliché del “rapper cattivone” una volta per tutte -, “Parquet” e soprattutto “Ciao”, il brano forse più forte del disco, sono il frutto di questa ibridazione, ben venga. Perché Faccio un casino è un gran bel disco, al di là dei generi.