– di Martina Rossato –
LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA!
Mi ha fatta sorridere quando sei salita sul palco col tuo tatuaggio “mamma”, dicendo che lo hai fatto per fare arrabbiare la tua mamma. Cosa ne pensa la mamma adesso quando ti vede sul palco?
Per lei è stato un po’ difficile accettare questa mia fortissima esigenza di cantare e di fare musica. A posteriori ho anche capito che un genitore può essere un po’ spaventato da una scelta del genere. Adesso la percepisco ancora un po’ spaventata, mi fa molte domande su quello che faccio e su dove vado, però sta iniziando a capire. Poi abbiamo iniziato a parlare un po’ di più, a comunicare, ho iniziato a spiegarle le cose. Diciamo che questo processo di accettazione non è ancora completo, ma siamo su una buona strada. Ognuno ha i propri tempi. All’inizio ero molto arrabbiata con lei, ma ora non pretendo che capisca. Vorrei solo che si fidasse.
E c’è qualcun altro o qualcos’altro a cui chiedi di “lasciarti andare”?
A me stessa, sicuramente. La mia scrittura poi è sempre molto autobiografica perché è terapeutica e riesco a metabolizzare le cose che mi succedono solo scrivendole. Quindi sì, a me stessa. Dovrei fidarmi un po’ di più del mio istinto, delle mie esigenze e di quello che sento.
Quando hai cominciato a capire che fare musica era terapeutico per te?
Il progetto cmqmartina è nato tre anni fa, per gioco. Man mano ho scoperto quanto mi aiutasse veramente e quanto fosse liberatoria questa cosa. Adesso per me è un’esigenza. Ho sempre studiato canto e ho sempre ascoltato tantissimo cantautorato italiano, quindi poi ho deciso di riunire il tutto. A furia di ascoltare la musica italiana ho pensato: “Perché non farlo anche io?”. Poi da piccola scrivevo storie, poesie – poesie da bambina ovviamente – e quindi man mano la cosa si è evoluta.
Hai cantato la cover di “Dio, come ti amo”. Un verso recita: “Non è possibile aver tra le braccia tanta felicità”, volevo chiederti se c’è qualcosa che in questo momento senti essere la felicità.
Il mio migliore amico. È la mia fonte primaria di gioia in questo momento, è tipo mio fratello. Quest’anno siamo stati entrambi molto male e se non avessimo avuto l’un l’altro avremmo fatto molta più fatica. Tutto quello che faccio è in funzione di lui. [Le si rompe un pochino la voce, ndr] Ti giuro, non so neanche come descriverlo: non è amore, non è amicizia, non è fratellanza, è proprio una cosa che va oltre. Quindi sicuramente sì, lui è la mia fonte di gioia primaria.
Qual è il pezzo in cui hai messo più cuore e il pezzo in cui hai messo più rabbia?
Cavolo che bella domanda! Ma io non sono mai rabbiosa in realtà, forse il pezzo in cui ho messo più rabbia è “carne per cani”, non lo so. Il pezzo in cui ho messo più cuore è “le cose che contano”, sicuramente.
In “carne per cani” dici che “le parole sono come carne per cani randagi”, un’immagine che trovo molto cruda. A cosa pensavi quando l’hai scritta?
Quel pezzo l’ho scritto a partire da un mega viaggione che mi sono fatta una volta che sono andata a ballare a Milano; mi sono fatta questo viaggio in cui io vedo una persona, che in realtà non esiste, e abbiamo una conversazione. Poi mi rendo conto che era una persona del passato e che era tornata per chiedermi come stessi e come avessi superato la rottura del nostro rapporto. Era una persona molto egocentrica, che mi faceva parlare molto poco. Probabilmente ci ho messo un po’ di rabbia.
Com’è avere ventuno anni e vivere in questo mondo enorme dell’industria musicale?
Io mi sento giovane e di conseguenza mi sento fortunata ad avere cominciato a fare questo lavoro così presto perché so di avere ancora tanto tempo per sperimentare, per poter sbagliare, per potermi capire meglio. Sì, mi sento piccola, ma ci sono anche artisti che sono più piccoli di me. Penso a una Madame, come tantissimi altri. Mi sento blessata perché ho ancora tanto tempo. Poi essendo così piccola, ci sono tanti artisti più grandi di me da cui posso imparare, prendere ispirazione e che mi possono insegnare molto. Mi sento nel posto giusto al momento giusto.