Forse più che a Lennon in quanto artista, l’omaggio di pregiata ricerca e di alto gusto, si rivolge al concetto lavoro… Lennon che in questo anno avrebbe compiuto 80 anni, che in questo anno ricorrono 40 primavere (anzi inverni) dalla sua morte, che il prossimo anno di primavere per “Imagine” saranno 50…
Claudia Bombardella, ricercatrice, sperimentatrice, “ambasciatrice” italiana di un suono altro e di un certo modo apolide di pensare alla musica e alle tante contaminazioni, torna in scena con una rivisitazione della celebre “Working Class Hero”, girandola, rivestendola, colorandola e “sporcandola” di silenzi, di distorsioni visive, di simbolismi che provengono da un altrove che forse è la stessa coscienza di ognuno di noi. È nel lavoro il vero cuore a cui – penso io – rivolgere la nostra attenzione per la codifica di questo omaggio, anche e soprattutto in questo momento di apocalisse. Anche se, ad onor del vero, la genesi è altra in effetti: un brano che nasce su commissione per un documentario di Marisa Artioli (presentato al Festival della letteratura di Mantova nel 2014) a seguito della chiusura della cartiera di Burgo e finalizzato con Marzio Benelli al Mastering e con la RadiciMusic a firmarne oggi la pubblicazione, oltre che al personale contributo nella produzione di questo video da parte della stessa Stefania Cocozza della RadiciMusic e di Roberto Galassini, nome di riferimento nella direzione fotografica e della regia di tanti videoclip della scena pop negli anni ’90/2000. Insomma: un brano, un’esperienza, una visione… ovviamente un suono. Quello di Claudia Bombardella.
“Working Class Hero”. Un brano che oggi calza a pennello più che mai. Secondo te il “lavoro” oggi è vittima dell’ennesima rivoluzione oppure stiamo cercando di proteggerlo in qualche modo?
La modernità ha creato da un lato un apparente benessere materiale, da un altro miseria e sfruttamento, ma nell’insieme una profonda crisi spirituale. È quindi necessario un grande cambiamento. In quanto umani abbiamo difficoltà a cambiare anche solo una piccola abitudine, figuriamoci un modo di vivere o pensare. Sarà certamente una faccenda lunga, una mutazione profonda, lenta, probabilmente già in atto da molto tempo.
Questo testo straordinario che riguarda il tema del lavoro (ma soprattutto il soggiogamento al potere che è certamente attuale) è qui osservato da un punto di vista intimistico e riguarda la nostra umanità più che l’aspetto sociale.
Da Lennon ci veniva la forza per fare rivoluzione. Dal tuo dipinto sonoro ci arriva la quiete di chi osserva e denuncia. Almeno questo è quello che ci arriva. Secondo te?
Ti ringrazio, una sintesi perfetta. Oggigiorno non è tempo di urlare, siamo tutti troppo confusi, è tempo di riflettere, osservare e magari vedere che ciò che accade “fuori” è la stessa cosa di ciò che accade dentro di noi. Quindi, forse, più che una denuncia è un appello, quello di riappropriarsi di una quiete profonda che ci permetta di vedere come stanno realmente le cose, innanzitutto dentro di noi. A quel punto saremo in grado di espandere la nostra visione alla realtà nel suo insieme, una prospettiva ampia e generosa.
La ricerca del suono diviene, questa volta, anche ricerca dell’immagine, delle visioni… come hai fatto dialogare questi due versanti del progetto? Che cosa hai cercato di realizzare?
La poesia evoca, risveglia, apre alla visione. E così, il dialogo fra musica, parole ed immagini evolve in questa rilettura, senza predominanza di uno degli aspetti, come un corale, ogni voce a servizio del tutto.
Un lavoro poetico quindi, che non definisce, ma muove, lasciando spazio alla capacità di risonanza del fruitore.
Collante e motore di questo risultato visionario è stato senz’altro l’amicizia, il fare insieme, con Stefania Cocozza, Roberto Galassini per le riprese e montaggio e Marzio Benelli per la registrazione, montaggio ed editing, ognuno con la propria grande professionalità attenta e disponibile.
E quanto questo tipo di ricerca e di produzione, lisergica e psichedelica, sta contaminando il suono futuro di Claudia Bombardella?
Moltissimo, nonostante le mie resistenze nell’utilizzo della tecnologia. Sono una musicista pura, ma grazie al cielo ho collaboratori fantastici (la Radicimusic in primis che mi spingono, sostengono e aiutano a realizzare e tante altre persone intorno a me) per cui penso che sia solo l’inizio.
Domanda delle domande: queste luci soffuse, spesso questi neri, spesso queste “distorsioni”, la mano “operatrice”, il suono che non è mai sfacciatamente evidente… che sia un modo per rappresentare la realtà distorta che viviamo o i vagiti di verità che cerchi di trovare dentro l’irrealtà che accade ogni giorno?
Io lo definirei un inno alla libertà. Ma contrariamente a Beethoven è sussurrato, non vuole spingere all’azione, bensì a ritornare a noi, a prenderci cura, a condividere, a stimolare una rivoluzione interiore che ci consenta di uscire dalla prigione del condizionamento. Il filo conduttore sono la prima e l’ultima immagine. Dall’essere ancorati a un chiodo, alla libertà, all’autonomia. In mezzo c’è il lavoro, l’azione, la dedizione, mani che cantano, intimità dello spazio, suoni che richiamano a mille culture, come a sottolineare che qui si parla di umanità. E bellezza, nutrimento essenziale dell’anima.