Oggi non esistono più, ma sono cinque gruppi che vorremmo rivedere insieme
– di Assunta Urbano –
Negli ultimi dieci anni si è diffusa un’immagine sbagliata della “scena romana”, a causa dell’esplosione indie/itpop. Non si tratta di una foto reale e univoca della Capitale in questo lasso di tempo. C’è molto di più che si nasconde tra le mura di garage, studi di registrazione e le cuffie di passanti in metropolitana.
Ci sono gestori di locali che hanno scommesso su artisti, ci sono ascoltatori che non si sono mai stancati di girare la città alla ricerca di sonorità lontane dal piattume commerciale. Da ossessivi consumatori di musica, abbiamo avuto la fortuna di conoscere tanti lavori unici nel loro genere e spesso irripetibili. Purtroppo, a un certo punto le loro luci si sono spente.
Oggi, dunque, in un settembre ancor più nostalgico del solito, siamo qui a ricordarci in ordine sparso i percorsi di cinque band romane – anche se la lista potrebbe essere molto più lunga – che ci hanno segnato. Come tutte le cose più belle, per motivi differenti, ci hanno abbandonato e sono volati via, lasciando in noi un vuoto, che, in fondo, speriamo sempre possa essere ricolmato dagli stessi.
JOE VICTOR
L’emblema della “presa a bene” per eccellenza tra le band romane. I Joe Victor hanno portato sui palchi di tutta Italia, e non solo, la loro energia e un mistico “soulful”, un mix ben congeniato di folk americano, rock anni Settanta e pop anni Ottanta. Il gruppo che tutti abbiamo visto dal vivo, almeno una volta, in conclusione delle serate più scatenate. Due album, “Blue Call Pink Riot” nel 2015 e “Night Mistakes” del 2017.
I freak salutano i fan a fine 2019, con l’ultimo concerto ufficiale al Teatro Centrale di Roma e l’annuncio di una “vacanza”. Oggi, il leader Gabriele Mencacci Amalfitano ha un suo progetto solista, usando come nome d’arte Amalfitano, e un disco all’attivo.
I MOSTRI
Chiunque pensi che la britishness d’oltremanica non possa sussistere a Roma, non si è mai imbattuto ne I Mostri. Menestrelli di una città in continua decadenza, con una buona dose di proto-punk e ska iniettati in vena. Nel 2012, esce il loro primo e unico album “La gente muore di fame”, in cui la band ci accompagna in una passeggiata tra luoghi culto della Capitale, fra toni ironici e affitti cari.
L’ultimo post sulla pagina Facebook del gruppo è una foto di copertina al Circolo degli Artisti. Attualmente, Lucio Castagna e Mattia Castagna suonano con Carl Brave e Pietro Di Dionisio, voce, è alla chitarra per Franco126.
In “Camilla”, cantavano “Sono arrivati gli anni Dieci e tutti sembrano infelici”. Oggi, in tutta sincerità, quegli anni li vediamo come i nostri più felici.
BOXERIN CLUB
La pagina Facebook dei Boxerin Club ha sia foto del profilo che copertina tinteggiate di bianco. Un colore del genere me lo immagino per simboleggiare l’attesa di un annuncio, di una “buona novella”. Purtroppo, in questo caso si tratta dell’opposto dato che il gruppo non è più in attività.
Nel 2014, quando i componenti hanno poco più di venti anni, esce “Aloha Krakatoa”, per Bomba Dischi. Una vera esplosione – come suggerisce anche il significato del titolo – di colori e di sonorità.
Un sound solare e difficile da confondere con altre band romane; trattati quasi come una realtà internazionale, con le esperienze dal vivo newyorkesi. La band di Matteo Iacobis ha evitato le mode e non ha mai cambiato il suo stile per piegarsi a logiche di mercato.
Oggi, Francesco Aprili e Matteo Domenichelli sono rispettivamente batteria e basso di Giorgio Poi; Edoardo Impedovo collabora con Carl Brave. Infine, il frontman dei Boxerin Club è stato protagonista di altri progetti alternativi, come Laago!
LUMINAL
Discorso decisamente più complesso quello dei Luminal, ma gruppo immancabile in un percorso nostalgico come questo. Quattro album: “Canzoni di Tattica e Disciplina”, (2009), “Io non credo” (2011), “Amatoriale Italia” (2013) e “Acqua azzurra, Totò Riina” (2015). Non li ricordiamo soltanto tra le band romane che ci mancano, ma come uno dei progetti alternative più significativi del decennio scorso. Per loro cambia tutto con il terzo disco, grazie ai testi cupi e a una sferzante critica della società contemporanea. Così come i suoni che diventano più duri.
Sono stati il mio primo vero contatto con “quello che succede nella musica a Roma”. Del live ricordo soprattutto Carlo Martinelli infilato sotto al palco e intrecciato tra i fili del microfono. Forse questa immagine restituisce la rottura degli schemi e la rivoluzione che il power trio ha portato nel periodo artistico degli anni Dieci.
Oggi i Luminal non ci sono più, Carlo Martinelli, Alessandra Perna e Alessandro Commisso si destreggiano in tanti ambiziosi progetti, solisti e non solo. Ma noi non smetteremo mai di credere “nel potere mistico dell’arte”.
LE MURA
“Noi siamo Le Mura. e non possiamo farci niente”
Così si presenta sui social l’ultima delle cinque band romane che vorremmo rivedere, Le Mura. Si forma nel 2010, ma porta alla luce il suo bambino prodigio nel 2017 “Sat Nam”, pubblicato per Maciste Dischi. Tra garage rock e venature psych, il racconto di un’altra Roma, a tratti menefreghista e spensierata.
Oggi, Gabriele Correddu milita come bassista nel gruppo trash metal Underball, Bruno Mirabella è la batteria dei Big Mountain County, Gabriele Proietti è alla chitarra con VonDatty e la voce Andrea Imperi ha lavorato al progetto Diamine nel 2020.
Una certezza c’è: finché Roma sarà ancora cosparsa di adesivi di “Sat Nam”, questa scena resterà nel cuore di noi inguaribili sognatori e non sarà mai davvero finita.
Alcune le conoscevo, altre no, grazie per avermele fatte incontrare.
Ne aggiungo una di cui mi piacerebbe sapere qualcosa ad oggi: 3chevedonoilre.
A meno che non mi sia perso qualcosa, sono 4-5 anni che non si sentono più