di Giovanni Flamini
Quando Cimini risponde al telefono non è sulla A-14 (il titolo del suo ultimo singolo) ma a casa sua, immerso nel tepore di una mattinata di fine primavera. È di buon umore e ha il tono di voce allegro e spensierato di chi si è tolto parecchie soddisfazioni. Il suo secondo album “Ancora Meglio” ha spaccato la rete, macinando streaming su streaming e dividendo il pubblico, ma soltanto in materia di scelte promozionali. Perché dividersi su queste canzoni è impossibile, dato che parlano di una riconciliazione, anche con se stessi. Nove ballad di puro cantautorato, sia vecchia che nuova maniera, che entrano in scivolata senza tanti complimenti. Noi ci abbiamo chiacchierato di tante cose, dall’hype ai live, passando per la voglia di paternità e la memoria emotiva ai tempi dei social.
Come è iniziato questo progetto?
Questo progetto nasce, fondamentalmente, dalla noia. Avevo pubblicato un disco con un’etichetta più piccola sotto il nome di Federico Cimini ma iniziavo ad annoiarmi, così ho lasciato stare per un paio di anni. In questi due anni ho avuto modo di pensare, di capire se fosse il caso di continuare o meno e, dato che mi sono sempre fatto accompagnare dalla musica, ho continuato a scrivere canzoni da solo nella mia cameretta. Riascoltandole dopo qualche tempo ho pensato che fosse il caso di pubblicarle e le ho fatte ascoltare a Lodo de Lo Stato Sociale, che mi ha poi presentato “artisticamente” i ragazzi di Garrincha, anche se già li conoscevo a livello di birrette in giro (ride). Da lì è iniziato tutto.
Come vi è venuta l’idea di promuovere il singolo “La Legge di Murphy” in quel modo?
È un’idea che ci è venuta in qualità di team, mentre cercavamo di capire come promuovere un nuovo artista Garrincha come me. Inizialmente ci era venuto in mente di infondere un po’ di curiosità nelle persone coinvolgendo semplicemente gli artisti di Garrincha, come Ex-Otago e Lo Stato Sociale, facendogli reggere questo cartello con su scritto “La Legge di Murphy è più forte di me”, a mo’ di benvenuto. Ma una volta che sono state pubblicate le prime foto, la cosa ha preso talmente piede che, oltre al fatto che sono stati coinvolti anche altri artisti, come Brunori, si è creata anche una aspettativa. Ma non abbiamo costruito tutto a tavolino per farne parlare così tanto. Anche perché questo è un pezzo molto personale, non è un brano che ho scritto tanto per vendere. Comunque ci divertivamo tantissimo, se ne parlava in radio, sulle riviste, sul web. Ovviamente si sono create molte parole su questa operazione, ma è il prezzo da pagare quando si crea una aspettativa e quando devi far affezionare le persone a qualcosa di nuovo.
Invece l’idea di fare il video di “Una Casa Sulla Luna” attraverso le storie Instagram è venuta a te?
Quando l’etichetta ci ha proposto di pubblicare come singolo un brano come “Una Casa Sulla Luna”, che affronta il tema del ricordo, della provincia, di una sorta di angoscia che ti viene dall’ambiente circostante, un nostro collaboratore, Stefano Bazzano (che è anche il curatore delle grafiche di tutto il disco), ha tirato fuori questa idea del vertical video, che in Italia è stata utilizzata raramente. Alla fine siamo arrivati al concetto che le storie di Instagram sono dei meccanismi di creazione di ricordi artificiali. Quindi l’intento era quello di creare un ricordo. Così abbiamo suddiviso la canzone in 24 storie, con tutti i rischi che questo comportava, perché la canzone si interrompeva (ride), e l’abbiamo lasciata su instagram solo per 24 ore.
Il video esiste ancora?
Certo, ce l’ho sul mio computer. Molti mi chiedono di pubblicarlo su YouTube, ma non lo vogliamo fare.
Nel tuo disco ho sentito molto cantautorato “terrone”, da Rino Gaetano a Brunori. Quali sono le tue influenze? Ma soprattutto, quanto ti senti indie?
Io non so cos’è l’indie, so soltanto che mi ci sono ritrovato. Io scrivo canzoni senza fare una questione di genere: c’è gente che scrive per essere accettato nel mondo indie, riprendendo lo stile di questo o quell’artista, ma è proprio questa imitazione a creare il mondo indie di per sé. Adesso, ad esempio, vanno di moda le parole strane su giri molto ripetuti e abusati. Io scrivo pensando a chiunque. Mi fa piacere che anche le mamme mi possano ascoltare. Ogni canzone mi deve sembrare abbastanza universale e non riferita a una nicchia in particolare. Per quanto riguarda le influenze, la musica italiana in ogni sua forma mi ha influenzato tanto. Mi piacciono i cantautori di oggi e quelli di ieri, posso passare dagli anni ‘60 a “Paracetamolo”, da “Una Vita In Vacanza” a De Gregori.
Il pezzo che mi è piaciuto di più è “Sabato Sera”. Tu hai un pezzo che prediligi, a cui sei più affezionato?
Sono affezionato a tutti i brani, perché sono stati tutti scritti per un motivo e hanno tutti un significato molto personale, o quantomeno riconducibili a momenti personali. È ovvio che un brano come “La Legge di Murphy” lo sento molto mio, perché è proprio uno sfogo. Ma questa voglia di schiaffeggiare qualcosa o qualcuno, forse me stesso, è presente in molte canzoni, ad esempio “Buongiorno” e anche la stessa “Sabato Sera”. “La Legge di Murphy” è un po’ la summa di tutto questo.
Progetti futuri?
Voglio avere un figlio e costruirmi una casa (ride). Musicalmente parlando, adesso è uscita “A-14”, che è nata un po’ per gioco con Carota de Lo Stato Sociale, ed è un pezzo più allegro degli altri. Ma adesso ho solo voglia di portare le canzoni in giro. Ho un tour estivo molto lungo, da Giugno fino a Settembre e sono molto contento, anche se non so se ce la farò. Però è una cosa che mi piace fare e di cui, a un certo punto, ho anche bisogno. La musica è empatia e io l’empatia ho bisogno di crearla faccia a faccia.