• di Sara Fabrizi
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Charlie Fuzz, cantautore indie di Ceccano (FR), e con i Caraibi, la band che lo supporta nei live e nei dischi. A dicembre è uscito il suo EP Varenne. Vediamo un po’ cosa ci hanno raccontato:
Spiegaci il significato del nome del tuo progetto e della band che ti accompagna.
Charlie Fuzz è l’unione di due nomignoli che i miei amici mi avevano affibbiato anni prima.”Fuzz” o “Fuzzy” lo inventò il produttore che avevo ai tempi della mia band precedente, i Me For Rent, perché sono sempre stato un amante dei Mudhoney e in generale dei suoni “fuzzosi” della chitarra, anche se oggi non sembrerebbe. Il nomignolo mi piaceva e iniziavo già a firmarmi così, anche se poi nei crediti lascio sempre il mio nome di battesimo.”Charlie” lo misi come nome su Facebook nei giorni successivi alla strage della sede di Charlie Hebdo. Era come fare un “Je suis Charlie” ma in modo alternativo, perché Charlie era già molto usato come appellativo nei miei confronti. Piuttosto facile visto che mi chiamo Carlo.Quando ho deciso di fare il cantautore avevo altri nomi per la testa ma Luca (il tastierista) disse di lasciarlo perché suonava bene ed io mi sono convinto. Inizialmente una delle possibili scelte per un mio pseudonimo era stata Varenne, che poi ho utilizzato come nome del mio EP. Mi era tornato in mente lo storico cavallo, un giorno mentre ero in viaggio su un autobus, e pensavo a quanto, nei primi anni duemila, fosse sulla bocca di tutti e quanto oggi invece questo nome sia stato rimosso. Non che io sia appassionato di cavalli, semplicemente ho sempre pensato sia un bellissimo nome e mi sembrava bello ri-tirarlo fuori in qualche modo.Il nome della band invece, i Caraibi, è stato mutuato da un brano di un altro cantautore locale. Lo stavo ascoltando in macchina quando ho avuto quest’idea.
Come si struttura la band? Quali sono i ruoli e le sinergie?
Io, Carlo, sono cantante e chitarrista e mi avvalgo del supporto di questa band facendo leva soprattutto sull’affiatamento creato fra noi. Pur provenendo da ascolti e sensibilità musicali variegate e disparate abbiamo raggiunto un ottimo livello di coesione. Anzi la vena creativa del mio progetto ha modo di svilupparsi ulteriormente proprio in virtù dello scambio reciproco e costante fra me e i ragazzi della band. L’improvvisazione che viene fuori durante le nostre prove è una buona base di partenza per la scrittura di nuovi pezzi, che sono già in cantiere.
Che genere di riferimento seguite? Le influenze e lo scopo del progetto quali sono?
Charlie Fuzz è un progetto che si colloca nell’alveo dell’indie italiano ed è la risultante di una serie di influenze che vanno dall’indie americano al nuovo cantautorato italiano. In particolare Beck riveste per me un ruolo di ispirazione fondamentale e portante, trattandosi di uno degli artisti che seguo e stimo di più. Per quanto riguarda invece gli apporti del resto della band in termini di influenze si va dagli U2 ai Talking Heads fino al panorama hard rock più ampio.
Lo scopo del progetto è quello di credere in ciò che stiamo facendo ed andare avanti. Puntiamo sulla fiducia del pubblico, sull’ottimo riscontro che stiamo avendo a livello locale e vogliamo crescere. Nei live già suoniamo dei pezzi nuovi, non contenuti in Varenne, e nuove canzoni sono in fase di stesura. Con un pizzico di sfrontatezza e del giusto ottimismo sappiamo che possiamo farcela.
Tu canti in italiano. Sei mai stato attratto dal cantare in inglese?
In passato ho quasi sempre cantato in inglese sia con i Me For Rent che con gli At The Weekends, sottolineo il “quasi” perché ho registrato anche un disco in italiano con i Me For Rent (Il Manuale Del Perfetto Impostore, NerdSoundRecords, 2004). Ho sempre dato priorità all’inglese per tanti motivi, soprattutto perché l’80% di quello che ascolto proviene dal mondo anglosassone, il restante è italiano/altre lingue rimaste. Nonostante questo, nonostante io sia un appassionato e laureato in Lingue, a un certo punto ho pensato la cosa più semplice: l’italiano è la mia lingua madre, per quanto io possa avere una buona pronuncia in inglese devo continuare con la mia lingua.Perciò ho lavorato molto sulle metriche e ovviamente sulle liriche perché non sono di certo lo stesso che scriveva pezzi in italiano nel 2004. Quindi ho ascoltato tanto anche per capire come funzionano le grandi canzoni in italiano, ho ri-apprezzato molti cantautori che prima conoscevo pochissimo. Mi sono avvicinato a Dalla, al primo Vasco Rossi, Venditti, Battiato e un po’ a tutta l’epoca dei primissimi anni 80 italiani, nei quali non eravamo sicuramente secondi a nessuno in quanto a canzoni. Ciò non toglie che ascolto ancora la musica che ascoltavo anche prima, ho solamente aggiunto un tassello che mi è tornato utile anche come insegnamento per questa mia nuova avventura.
C’è nel tuo EP un brano che tu e la band ritenete essere il manifesto programmatico?
Di sicuro Dimmi Cosa Vedi, è il nostro cavallo di battaglia.
Sull’onda dell’attuale ritorno all’analogico, con conseguente riscoperta di un suono più grezzo ed autentico, avete pensato di incidere su vinile o audiocassetta? Magari per i brani futuri.
Sì, siamo attratti dalla possibilità di poter cavalcare l’onda dell’analogico e non escludiamo di farlo per i nostri prossimi lavori. Sperando che nel frattempo avvenga un abbattimento dei costi, ancora piuttosto alti per noi per poter incidere su questi supporti.