– di Martina Rossato
foto di Manuel Grazia –
cecilia è una ragazza super sensibile, lo si capisce dalla voce delicata e dai suoi testi introspettivi e profondi. La musica è il suo modo per entrare in comunicazione con il mondo esterno, quella stessa realtà che l’ha fatta soffrire e con cui vorrebbe fare pace. Prodotto per Epic Records Italy/Sony Music Italy, il suo nuovo EP, “il senso di questo caos”, parla proprio di questo: della sua voglia di lasciare indietro le insicurezze che i traumi le hanno causato.
Protagonista dei suoi brani è l’ansia, che la accompagna sempre, ma finalmente cecilia ha capito che non può lasciarsi sopraffare. I primi tre brani dell’EP sono usciti lo scorso 27 maggio e ne abbiamo parlato un po’. Quando la raggiungo al telefono, mi chiede da dove chiamo, riservandomi un’attenzione a cui non sono abituata. Entriamo così subito in sintonia.
Lei è di Lucca, ma vive a Milano da anni. Inizia così la nostra chiacchierata:
Come mai ti sei trasferita a Milano?
Avevo un gran bisogno di cambiare, ma di un cambiamento significativo. Qui a Milano ho trovato un nuovo equilibrio, poi avendo trovato lavoro ho deciso di rimanere.
Come ti trovi? È una realtà complessa, Milano.
Sì, molto. A Lucca non c’era assolutamente niente: non ci sono concerti, non ci sono locali dove suonare. Ultimamente stanno organizzando questo WØM FEST, ma è l’unica realtà ad occuparsi della scena piccola, indipendente. A Lucca c’è anche il Summer Fest, ma ospita solo artisti grandi e importanti. Essermi trasferita qua a Milano è stato positivo: dal niente al tutto.
Deve essere stato uno shock!
Sì, lo è stato. Infatti mi sto riprendendo adesso, dopo anni. Fino a cinque anni fa la vivevo male, ma perché ero io per prima a sentirmi emotivamente persa. Mi si sono presentate più volte occasioni, che ho scansato a causa di insicurezza e auto sabotaggio. Ad esempio peer music, la prima realtà ad avermi considerata, mi ha chiesto più volte di mandare la mia musica; io per due volte li ho proprio ghostati. Alla terza, una persona con cui stavo lavorando in separata sede e mi ha spinta a far sentire la mia musica. Era il 2018 e io continuavo a pensare di non essere pronta. Allora ha preso un appuntamento e mi ha portata lui, questo per farti capire quanto stavo inguaiata mentalmente [ride, ndr].
Ne “il senso di questo caos” mi è sembrato di vedere due filoni: da un lato tu, cecilia, con la tua interiorità e dall’altra parte il mondo esterno. Arrivi a dire «asma che non fa respirare ma è colpa di questa polvere» come se volessi trovare al tempo stesso la causa e la giustificazione al tuo malessere in qualcosa che sta fuori. Come vivi il rapporto tra te e il mondo esterno?
È probabilmente il prossimo argomento che tratterò con la mia terapeuta, è una tematica molto interessante. A tratti lo vivo come una sottospecie di impedimento, come se mi sentissi incompresa. Questa cosa è successa anche con amicizie, con persone che mi stavano accanto. Sono molto sensibile ed empatica, ma a volte sento che questa sensibilità e questa empatia sono monodirezionali. Nel tempo ho sofferto molto questa cosa del non sentire un ricambio: non mi sono mai sentita realmente capita e questo crea frustrazione. Non è una cosa determinata dall’esterno, ma dal rapporto che si ha con se stessi e per questo ho iniziato a fare terapia – che penso dovrebbe essere un servizio sanitario pubblico – grazie alla quale sono riuscita a sciogliere dei nodi. Per molto tempo ho incolpato la mia famiglia rispetto a certe questioni, che non sono riuscita ancora a risolvere, poi ho capito che incolpare non serve a niente.
E come ti senti nei confronti di te stessa?
Lo stesso trattamento che ho riservato per l’esterno, l’ho riservato a me stessa. Per molto tempo mi sono incolpata su tanti fronti e quella polvere di cui parli è anche la polvere che ho voluto mettere sotto al tappeto per paura di non riuscire ad affrontare situazioni che sembravano troppo pesanti. A un certo punto però o decidi di spolverarla o la lasci lì per sempre, e io ho deciso di spolverarla. Il riferimento all’asma c’è anche perché sono asmatica, però.
Ah, avevo pensato all’asma come sintomo di ansia!
Sì, sì, rappresenta un po’ tutto: sono asmatica, ma soffro anche di ansia, come penso tu abbia capito [ride, ndr]. È un riferimento figurativo più ampio, che ha varie sfaccettature.
Sempre in “di stanze caotiche” dici «lasci un’impronta e te ne vai e non ti importa». Mi è sembrato di vederci una cecilia che parla a cecilia.
Sì, brava, ci hai preso. È un po’ la questione del sabotaggio che ti dicevo prima. Fai le cose, ma poi non arrivi fino in fondo. Quel «non ti importa» deve essere letto in maniera più profonda: c’era un caos in sottofondo che andava sistemato. Non perché il caos vada necessariamente sistemato, ma quando c’è caos, per quello che io sto vivendo, non c’è veramente vita per cecilia. Per me caos non è soltanto confusione, è una cosa più ampia, ovvero sopraffazione che porta alla dissociazione, alla confusione. Non so se hai mai provato queste sensazioni… portano all’auto sabotaggio di cui ti parlavo prima.
Mi piace molto quest’idea del caos che poi si fa ordine, e penso che fare musica sia un modo di fare ordine. Da quanto e in che modo cecilia fa ordine con la musica?
La musica è in realtà da sempre un amico/nemico. Ha alternato i due ruoli: quando stavo molto male era un amico, mi aiutava ad incanalare le mie emozioni in qualcosa. È così che mi ha aiutata a fare ordine quando stavo male, ma ora sto cercando di cambiare questo meccanismo. La musica è sempre stato un mezzo di comunicazione, come la scrittura: tutti i giorni scrivo almeno tre pagine di diario; ora ho imparato a farlo anche quando non sto male. Descrivo come mi sento per tenere traccia, anche quando sono felice, ma i miei testi non sono molto felici, sono molto introspettivi.
Dicevi amico e nemico. Perché nemico?
Perché in passato quando mi sentivo meglio, sollevata o non troppo sopraffatta, non riuscivo a scrivere. Allora entrava in gioco quella vocina stronza che mi diceva: «non lo sai fare», era sempre lì per mettermi alla prova con domande scomode.
Il tuo modo di cantare è un po’ in punta di piedi, molto delicato. Ne “il senso di questo caos” tiri fuori più energia, il tuo lato rock. Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi pezzi?
Allora, aspettarci niente [ride, ndr]. Sto costruendo i nuovi pezzi a mano a mano che vado avanti, dando molta retta al mio istinto. Ad esempio, questo EP è stato spinto da un istinto forte, avevo proprio voglia di parlare di salute mentale – della mia in particolare – e di fare ordine, quindi sono andata a parare lì.
Per quanto riguarda la scelta della produzione e degli arrangiamenti, ho fatto tanto di testa mia rispetto all’altro EP. In quel caso avevo in mente una direzione, ma l’idea sonora non è propriamente partita da me. Le persone con cui ho lavorato mi hanno aiutata, ma mi ero molto affidata a loro. Stavolta ho ascoltato il mio istinto, a costo di sbagliare. Ho scelto delle persone che potessero aiutarmi a realizzare quello che io volevo fare, è stato un grande salto a livello di consapevolezza personale e di autostima.
Ed è la stessa consapevolezza che mostri live?
Sì, anche durante il live si è molto manifestata questa parte più rock. Non so se avrai modo di venire a un live, ma ti accorgerai che quella delicatezza che mi contraddistingueva in questo momento si è trasformata in un’energia un po’ più incazzata. Che poi è quella parte di me che avevo represso, perché pensavo non fosse abbastanza elegante, abbastanza me, abbastanza.
Ho iniziato a cantare e suonare da molto piccola, prima che succedesse un evento molto traumatico per me, quando avevo diciassette anni. Prima però ero quella cosa lì, che tu chiami rock, molto sfacciata. Nel tempo questa cosa si è molto affievolita: esisteva dentro di me una parte più dolce e ho deciso di insistere su quella. Dopo dieci anni di terapia, sto recuperando quelle caratteristiche che avevo represso a causa di quell’evento traumatico. Si parla di voce, ma è vero che è lo specchio dell’anima. Rappresenta chi sei, come ti senti, quello che fai: il mio percorso di vita è molto legato alla mia musica.
Anche il fatto che cecilia si scriva minuscolo è sintomo del tuo voler camminare in punta di piedi?
Quella è una scelta puramente estetica. Molto tempo fa ho letto “milk and honey” di Rapi Kaur – va be’, è una lettura molto inflazionata – e mi piacque molto la scelta di scrivere tutto minuscolo. Me lo aveva regalato mia madre prima del primo lockdown, quando uscì il mio primo EP. Non mi piaceva nemmeno esteticamente scrivere “Cecilia”, anche se ormai non mi faccio più problemi: non è importante il contenitore ma il contenuto.
02.08 – Laos Fest – Scalea (CS)
05.08 – Light Blue Fest – Porto Empedocle (AG)
12.08 – Cave di Fantiano – Grottaglie (TA) – open act for Max Gazzè
26.08 – Mag Festival – Sona (VR)
27.08 – Palazzo Te – Mantova – open act for Carmen Consoli
01.09 – Frangenti – Cetara Arts Festival – Cetara (SA)