Il 7 luglio è uscito “Tra le onde”, EP d’esordio del cantautore livornese Cavalera, un lavoro a metà fra anni ’90 e contemporaneità del nostro cantautorato pop.
– di Roberto Callipari –
Davide Cavalera è un giovane artista classe ’96 che dal decennio di cui è figlio ha preso molto musicalmente, tanto che è impossibile non notare l’influenza di quello che sono stati quegli anni nella nostra scena, segno certo del fatto che c’è ancora tanto da fare qua, c’è ancora qualcosa o qualcuno a cui guardare, nei nostri confini, se si vuole fare musica.
“Tra le onde” è un lavoro onesto, è un lavoro che parla all’anima dell’ascoltatore dall’anima di Cavalera, nemmeno un regalo, ma un diario, quasi un “messaggio vocale” alle tre di notte da parte dell’artista romano, uno di quelli che si inviano alla “persona speciale” una volta parcheggiata la macchina a seguito di una qualche serata importante. In questo tipo di narrazione trova grande spazio Livorno, il mare, la vita e l’amore, ma anche Roma e il viaggio come dimensione di scoperta, magari non solo geografica.
È sempre difficile misurarsi col racconto di quello che è un disco cantautoriale, come è sempre difficile consigliare un cantautore a qualcuno. Come puoi consigliare Bob Dylan a qualcuno? Ma anche senza andare a scomodare creature mitologiche, come si può spiegare un Daniele Silvestri? Alla fine, come spieghiamo, davvero ed in maniera esaustiva, un’emozione?
La solita routine
Che io provo a decifrare interpretare a coglierla nel suo particolare
Perché io cerco
Solo di raccontare
Parlare di “Tra le onde” e di Cavalera vuol dire cercare di fare questo lavoro, cercare di scavare alla ricerca di qualcosa che non è possibile esprimere fino in fondo. E questo non perché non ci siano difetti, anzi: qualcosa qua e là non è sempre preciso, ma anche nelle imperfezioni si trova il bello, il modo di crescere per poter mirare a qualcosa di nuovo, magari di diverso. La cosa certamente più interessante è che, nelle sei tracce che compongono l’esordio di questo libraio prestato alla musica, si avrà modo di ripercorrere immagini che appartengono a tutti, ascoltando tanto dichiarazioni d’amore eterno alla musica, unica nostra salvezza in questa vita (“Anni”), quanto la necessità dell’evasione dalle nostre responsabilità, se non sempre almeno ogni tanto, nelle braccia di qualcuno che magari non ci redime, ma almeno ci conforta (“Se balli tu”).
Gli arrangiamenti sono interessanti: ariosi, spaziosi, alle volte vagamente fumosi – e, in tal caso, una scelta chiaramente stilistica azzeccata, in cui l’orecchio difficilmente fatica, in cui la voce non si perde mai nei vari picchi strumentali che sono lì solo a tappeto (parliamo di un cantautore, è anche ovvio che la parola abbia una certa preminenza sul resto), senza però mai perdere di dignità.
Ascoltare Cavalera allora sarà un modo per ritrovare un po’ di se stessi, fra viaggi e cambiamenti di chi, fuori da noi, ha vissuto e ha deciso di raccontare, e non ad esempio, ma più per amor di cronaca (o di musica), per mettere in ordine assieme a una chitarra tentando e sperando di trovare qualcosa alla fine del viaggio. Un EP di puro cantautorato, da sentire ed ascoltare, e lasciare andare per vedere come sarà dopo.